Negli ultimi anni, il titanio ha catturato l’attenzione di buona parte del mondo scientifico grazie alle sue caratteristiche peculiari, tra cui vanno ricordate le buone proprietà meccaniche, l’eccellente resistenza a corrosione, la facilità di lavorazione e l’elevata biocompatibilità. Il suo ossido, in particolare nella forma cristallina di anatasio ha recentemente destato molto interesse per la sua attività fotocatalitica. Il biossido di titanio è un materiale semiconduttore con band gap elevato, nel quale il passaggio di elettroni dalla banda di valenza a quella di conduzione è possibile mediante esposizione a radiazioni aventi lunghezze d’onda comprese tra 385 e 410 nm (tipico dei raggi UV) [1]. Questa peculiarità viene sfruttata in diversi processi fotoindotti, in particolare in ambito fotocatalitico. Con il termine fotocatalisi si intende una generica accelerazione di una fotoreazione dovuta alla presenza di un catalizzatore, che nel caso in esame è il biossido di titanio stesso; per quanto riguarda le fotoreazioni sensibilizzate dal TiO2, gli elettroni fotoeccitati giocano il ruolo di attivatori di reazioni chimiche di ossido-riduzione [2]. Le principali applicazioni basate su questi principi sono la sintesi selettiva di composti organici, l’abbattimento di composti organici in fase solida, liquida o gassosa, la progettazione di materiali autopulenti ed antiappannamento e l’eliminazione di microorganismi patogeni e cellule tumorali [3]. La fotocatalisi mediante TiO2 è stata approfonditamente studiata [1], soprattutto relativamente alla degradazione di inquinanti ambientali. Le reazioni coinvolte all’interno del processo fotocatalitico hanno luogo sulla superficie del catalizzatore, motivo per cui le proprietà superficiali dello strato di ossido risultano fondamentali per lo studio del meccanismo di reazione e per la determinazione della cinetica di fotodegradazione. Nel corso dello sviluppo delle tecniche di fotocatalisi mediante TiO2 sono emersi alcuni ostacoli legati a caratteristiche proprie del materiale: sono stati riscontrati problemi causati dalla difficoltà di separazione delle particelle di TiO2 dall’ambiente di reazione a degradazione avvenuta. Inizialmente, infatti, si operava con TiO2 sotto forma di slurry, con basse velocità di fotodegradazione e problemi di filtrazione delle particelle di catalizzatore. Inoltre era necessario stabilizzare la dispersione di materiale fotocatalitico allo scopo di mantenere elevate velocità di reazione per tutto il corso della fotodegradazione. Un possibile metodo per superare questi ostacoli è incorporare il TiO2 all’interno di una fase solida, trasparente, bagnabile e gas permeabile. Le matrici polimeriche rappresentano una classe di composti utili a tale scopo; tuttavia non tutti i polimeri sono utilizzabili in questo verso, poiché molti di essi non sono resistenti all'ossidazione. A causa della presenza in catena di legami C–F, ad elevata energia, i composti perfluoropolimerici sono caratterizzati da elevata resistenza termica e chimica, bassa energia superficiale e bassa bagnabilità [4,5]. Sono quindi una classe di polimeri che si adatta perfettamente allo scopo desiderato: l’applicazione di rivestimenti di questo tipo su superfici anodizzate causa un notevole aumento della resistenza a sporcamento e della lavabilità di queste ultime; in più i perfluoropolimeri amorfi sono del tutto trasparenti alle radiazioni luminose in un ampio spettro di lunghezze d’onda e caratterizzati da bassissimi indici di rifrazione [5]. L’applicazione di un rivestimento rappresenta però un ostacolo per la diffusione e l’adsorbimento dei composti da ossidare sulla superficie fotocatalitica, in particolare per quanto concerne molecole di acqua, necessarie alle fotoreazioni, all’interno di sistemi che presentino soluzioni acquose. Ciò comporta una drastica riduzione delle velocità di fotodegradazione. Questo problema è stato recentemente risolto utilizzando come rivestimenti perfluorurati materiali ionomerici idrofilici, che causano un aumento della fotoattività dovuto ad un miglioramento nelle capacità di adsorbimento del sistema ionomero-TiO2. L'idrofilicità dei materiali ionomerici in presenza di soluzioni acquose può però causare formazione di rigonfiamenti e di parziale allontanamento del rivestimento stesso, dovuti a penetrazione di acqua tra la superficie e il coating [6]. Tale fenomeno può tuttavia essere ridotto operando trattamenti termici, in particolare sui materiali contenenti ionomeri solfonici. Nel corso della tesi è stata analizzata la fotocatalisi applicata alla depurazione di acque contenenti, come esempio di composto organico inquinante, la RodaminaB-base (RhB), a ventotto atomi di carbonio, caratterizzata da un forte potere colorante e facilmente solubile in acqua. Soluzioni acquose di RhB a concentrazione nota sono state poste in un reattore in vetro, progettato per poter accogliere al suo interno una lampada UV di potenza nota contenuta in una guaina, in vetro o quarzo, sulla cui superficie è stato applicato il rivestimento fluoropolimerico. È stata individuata una composizione del coating perfluoropolimerico tale da garantire buona velocità di fotocatalisi e buona aderenza al supporto. Il rivestimento applicato alle guaine è stato preparato depositando quattro strati, ciascuno dotato di diverse funzioni. Per valutare l’efficienza fotocatalitica del sistema sono state condotte delle cinetiche di degradazione del colorante, effettuando, a intervalli di tempo arbitrari, prelievi della soluzione di RhB presente nel reattore, fino a che questa non è apparsa trasparente. Al termine della cinetica è stata misurata la concentrazione di colorante all’interno dei campioni prelevati utilizzando uno spettrometro UV-visibile, con il quale è stato possibile valutare la decrescita nel tempo del valore del picco di assorbanza caratteristico della Rodamina. Sono state effettuate inoltre delle analisi TOC per stabilire quale fosse la percentuale di RhB effettivamente passata a CO2: operando con molecole organiche a ventotto atomi di carbonio, infatti, una parte dell'inquinante è stata degradata a composti a peso molecolare maggiore rispetto alla CO2 finale. La tesi ha avuto come principale obiettivo la produzione di un reactive coating allo stesso tempo efficace dal punto di vista fotocatalitico e da quello della stabilità meccanica; sviluppi futuri, quindi, saranno focalizzati su una più approfondita analisi chimica della reazione di fotodegradazione, in vista di possibili applicazioni industriali mirate all’abbattimento di inquinanti organici in acqua.

Studio delle sinergie tra fluoropolimeri e biossido di titanio nella fotodegradazione di inquinanti idrosolubili

PERSICO, FEDERICO
2010/2011

Abstract

Negli ultimi anni, il titanio ha catturato l’attenzione di buona parte del mondo scientifico grazie alle sue caratteristiche peculiari, tra cui vanno ricordate le buone proprietà meccaniche, l’eccellente resistenza a corrosione, la facilità di lavorazione e l’elevata biocompatibilità. Il suo ossido, in particolare nella forma cristallina di anatasio ha recentemente destato molto interesse per la sua attività fotocatalitica. Il biossido di titanio è un materiale semiconduttore con band gap elevato, nel quale il passaggio di elettroni dalla banda di valenza a quella di conduzione è possibile mediante esposizione a radiazioni aventi lunghezze d’onda comprese tra 385 e 410 nm (tipico dei raggi UV) [1]. Questa peculiarità viene sfruttata in diversi processi fotoindotti, in particolare in ambito fotocatalitico. Con il termine fotocatalisi si intende una generica accelerazione di una fotoreazione dovuta alla presenza di un catalizzatore, che nel caso in esame è il biossido di titanio stesso; per quanto riguarda le fotoreazioni sensibilizzate dal TiO2, gli elettroni fotoeccitati giocano il ruolo di attivatori di reazioni chimiche di ossido-riduzione [2]. Le principali applicazioni basate su questi principi sono la sintesi selettiva di composti organici, l’abbattimento di composti organici in fase solida, liquida o gassosa, la progettazione di materiali autopulenti ed antiappannamento e l’eliminazione di microorganismi patogeni e cellule tumorali [3]. La fotocatalisi mediante TiO2 è stata approfonditamente studiata [1], soprattutto relativamente alla degradazione di inquinanti ambientali. Le reazioni coinvolte all’interno del processo fotocatalitico hanno luogo sulla superficie del catalizzatore, motivo per cui le proprietà superficiali dello strato di ossido risultano fondamentali per lo studio del meccanismo di reazione e per la determinazione della cinetica di fotodegradazione. Nel corso dello sviluppo delle tecniche di fotocatalisi mediante TiO2 sono emersi alcuni ostacoli legati a caratteristiche proprie del materiale: sono stati riscontrati problemi causati dalla difficoltà di separazione delle particelle di TiO2 dall’ambiente di reazione a degradazione avvenuta. Inizialmente, infatti, si operava con TiO2 sotto forma di slurry, con basse velocità di fotodegradazione e problemi di filtrazione delle particelle di catalizzatore. Inoltre era necessario stabilizzare la dispersione di materiale fotocatalitico allo scopo di mantenere elevate velocità di reazione per tutto il corso della fotodegradazione. Un possibile metodo per superare questi ostacoli è incorporare il TiO2 all’interno di una fase solida, trasparente, bagnabile e gas permeabile. Le matrici polimeriche rappresentano una classe di composti utili a tale scopo; tuttavia non tutti i polimeri sono utilizzabili in questo verso, poiché molti di essi non sono resistenti all'ossidazione. A causa della presenza in catena di legami C–F, ad elevata energia, i composti perfluoropolimerici sono caratterizzati da elevata resistenza termica e chimica, bassa energia superficiale e bassa bagnabilità [4,5]. Sono quindi una classe di polimeri che si adatta perfettamente allo scopo desiderato: l’applicazione di rivestimenti di questo tipo su superfici anodizzate causa un notevole aumento della resistenza a sporcamento e della lavabilità di queste ultime; in più i perfluoropolimeri amorfi sono del tutto trasparenti alle radiazioni luminose in un ampio spettro di lunghezze d’onda e caratterizzati da bassissimi indici di rifrazione [5]. L’applicazione di un rivestimento rappresenta però un ostacolo per la diffusione e l’adsorbimento dei composti da ossidare sulla superficie fotocatalitica, in particolare per quanto concerne molecole di acqua, necessarie alle fotoreazioni, all’interno di sistemi che presentino soluzioni acquose. Ciò comporta una drastica riduzione delle velocità di fotodegradazione. Questo problema è stato recentemente risolto utilizzando come rivestimenti perfluorurati materiali ionomerici idrofilici, che causano un aumento della fotoattività dovuto ad un miglioramento nelle capacità di adsorbimento del sistema ionomero-TiO2. L'idrofilicità dei materiali ionomerici in presenza di soluzioni acquose può però causare formazione di rigonfiamenti e di parziale allontanamento del rivestimento stesso, dovuti a penetrazione di acqua tra la superficie e il coating [6]. Tale fenomeno può tuttavia essere ridotto operando trattamenti termici, in particolare sui materiali contenenti ionomeri solfonici. Nel corso della tesi è stata analizzata la fotocatalisi applicata alla depurazione di acque contenenti, come esempio di composto organico inquinante, la RodaminaB-base (RhB), a ventotto atomi di carbonio, caratterizzata da un forte potere colorante e facilmente solubile in acqua. Soluzioni acquose di RhB a concentrazione nota sono state poste in un reattore in vetro, progettato per poter accogliere al suo interno una lampada UV di potenza nota contenuta in una guaina, in vetro o quarzo, sulla cui superficie è stato applicato il rivestimento fluoropolimerico. È stata individuata una composizione del coating perfluoropolimerico tale da garantire buona velocità di fotocatalisi e buona aderenza al supporto. Il rivestimento applicato alle guaine è stato preparato depositando quattro strati, ciascuno dotato di diverse funzioni. Per valutare l’efficienza fotocatalitica del sistema sono state condotte delle cinetiche di degradazione del colorante, effettuando, a intervalli di tempo arbitrari, prelievi della soluzione di RhB presente nel reattore, fino a che questa non è apparsa trasparente. Al termine della cinetica è stata misurata la concentrazione di colorante all’interno dei campioni prelevati utilizzando uno spettrometro UV-visibile, con il quale è stato possibile valutare la decrescita nel tempo del valore del picco di assorbanza caratteristico della Rodamina. Sono state effettuate inoltre delle analisi TOC per stabilire quale fosse la percentuale di RhB effettivamente passata a CO2: operando con molecole organiche a ventotto atomi di carbonio, infatti, una parte dell'inquinante è stata degradata a composti a peso molecolare maggiore rispetto alla CO2 finale. La tesi ha avuto come principale obiettivo la produzione di un reactive coating allo stesso tempo efficace dal punto di vista fotocatalitico e da quello della stabilità meccanica; sviluppi futuri, quindi, saranno focalizzati su una più approfondita analisi chimica della reazione di fotodegradazione, in vista di possibili applicazioni industriali mirate all’abbattimento di inquinanti organici in acqua.
SANSOTERA, MAURIZIO
ING III - Scuola di Ingegneria dei Processi Industriali
20-dic-2011
2010/2011
Tesi di laurea Magistrale
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