The thesis studies the relationship between urban morphology and sustainable architecture. It is proposed to give methodology to design sustainable neighbourhood.

Architettura e sostenibilità. Negli ultimi decenni il degrado dell’ambiente, il cambiamento climatico e l’uso eccessivo e incontrollato delle risorse naturali hanno generato crisi profonde nella civiltà urbana e negli ecosistemi. Lo sviluppo basato sul consumo, in particolare delle risorse non riproducibili, ha ormai definitivamente dimostrato la propria insostenibilità in una prospettiva di lungo periodo, anche se persistono ovunque modi di pensare parcellizzati, incapaci di visioni ampie e comprensive. La necessità di recuperare il degrado e proteggere il nostro ambiente appare dunque interna a un processo evoluzionistico ineluttabile che deve innescare un capovolgimento delle attuali linee evolutive, una riconversione del sistema economico e produttivo. Purtroppo il concetto di sviluppo sostenibile è definito in modo generico e la mancanza di indirizzi omogenei per i diversi ambiti di applicazione causa innumerevoli difficoltà e malintesi ai professionisti dei diversi settori nel momento in cui devono mettere in pratica il concetto di “sostenibilità”. Il paradigma dello “sviluppo sostenibile” appare pertanto indispensabile, così come sembrano di conseguenza necessari approcci diversi e con esso coerenti per tutte le attività umane, e certamente in primo luogo per quelle, come l’architettura, volte a modificare l’ambiente fisico per le esigenze dell’uomo. L’architettura, come disciplina che più di ogni altra contribuisce a modificare il nostro spazio d’azione naturale, risente con forza del concetto di sostenibilità e di produzione sostenibile. L’architettura sostenibile (anche detta architettura eco-compatibile o bio-edilizia o bio-architettura) è spesso descritta come la soluzione migliore per rispondere alla crisi della civiltà urbana e anche ad una presunta crisi dell’architettura contemporanea. Dai concetti generali e condivisibili della necessità di un approccio sostenibile per l’architettura, si è così – molto rapidamente – passati alla formazione, allo sviluppo, alla crescita di quello che potremmo definire quasi uno “stile architettonico”, una visione totalizzante che nelle soluzioni tecniche e nelle modalità costruttive degli edifici ricerca la “risposta giusta” all’abitare contemporaneo; quasi sempre, sostanzialmente, alla scala del singolo edificio, anche se estesa a più edifici. Sono così fioriti studi e ricerche scientifiche e sono state tenute innumerevoli conferenze. Volendo trovare l’atto primigenio di questo processo di sviluppo del concetto di “sostenibilità” dovremmo di sicuro puntare l’attenzione sull’Expo ’92; da quel momento, infatti, l’architettura sostenibile attrae un’attenzione crescente fino a diventare quasi un termine populistico di cui avvalersi per evidenziare gli spillovers sociali positivi dell’azione edificatoria. Nella maggio parte di questi, tuttavia, l’attenzione è maggiormente, o quasi esclusivamente, volta agli aspetti costruttivi, e tavolta anche simbolici della sostenibilità, dove questa viene vista essenzialmente nella capacità dell’edificio di consumare meno risorse (l’edificio passivo) o di generare minor inquinamento nella sua fase costruttiva (le costruzioni in legno o a “Km zero”); ben poca attenzione è, al contrario, rivolta non solo agli aspetti complessivi della sostenibilità ambientale, e quindi all’organizzazione di stili di vita (urbani e non) che contemplino il funzionamento delle più diverse attività e relazioni sociali; ma anche ad un concetto più ampio di sostenibilità sociale, dal quale non si può prescindere e s’intende davvero affrontare e risolvere il problema di uno sviluppo diverso. È probabilmente anche per modi in cui si è espressa la sostenibilità che, fino ad oggi, «il mondo dell’architettura italiana, nella maggioranza dei casi, ha considerato le questioni ambientali e l’uso delle risorse come un tema complementare rispetto ai caratteri disciplinari tradizionalmente predominanti» (L. Molinari). Pertanto, l’architettura sostenibile in Italia deve ancora cercare un ruolo preciso nello scenario architettonico e urbano, deve conquistare un’identità, una possibile forma fisica, fissare i criteri concreti che la contraddistinguano e le garantiscano stabilità. La ricerca esamina l’architettura sostenibile costruendone il paradigma e mettendo in discussione i suoi principi per capire compiutamente quali siano i suoi aspetti tradizionali e quali siano, invece, le sue forze innovative con l’obiettivo di identificarne e isolarne le tendenze e poter rispondere alla domanda: esiste un futuro dell’architettura sostenibile in Italia? L’eredità storica. I due temi che compongono il titolo della ricerca sono quindi da vedersi contemporaneamente in modo dialettico e complementare: dialettico perché la ricerca indaga i presupposti irrinunciabili delle forme urbane, che si sono costruite in risposta all’intreccio delle relazioni e delle attività umane (e che quindi ne descrivono una sostenibilità sociale); confrontandoli con i paradigmi recenti di una sostenibilità ambientale che pure ha le proprie ragioni e potenzialità. Complementare perché solo dalla convergenza dei due fattori, non univoca e non sempre uguale, ma diversa nel “caso per caso”, si ritiene di poter giungere ad un concetto e ad un’ipotesi complessiva di sostenibilità urbana o di città sostenibile. È questa in fondo la ragione principale, unita poi alla necessità di radicamento nella storia e all’esigenza, per chi scrive, di comprensione dei paradigmi morfologici della città europea, di aver dedicato un lungo capitolo alla descrizione ed allo studio dei modelli di città e dei modelli di quartiere. In primo luogo perché il paradigma della sostenibilità, in un’accezione più ampia del termine di quanto non siamo ora abituati, è un tema che l’umanità e l’architettura affrontano da sempre per la propria sopravvivenza, e al quale hanno dato risposte diverse, a livello generale ed ambientale: basti pensare alla “dimensione congruente” della polis greca che non poteva mai superare i ventimila abitanti circa; e invece alle città imperiali come Roma con il diverso approccio (e la risoluzione) delle problematiche infrastrutturali e sociali per una città di un milione di abitanti. In secondo luogo, perché in tutti i momenti della storia in cui la cultura urbana ed architettonica si è trovata ad affrontare nuove forme dell’abitare, nascenti dal progresso nelle sue varie forme ed accezioni, ha individuato risposte, basate spesso sulla ri-elaborazione dei modelli precedenti nel tempo e/o distanti nello spazio, che si sono ritenuti adeguati a “sostenere” le variazioni indotte, via via, dalla diminuzione della popolazione nelle fasi di recessione, dall’accentramento delle popolazione nei regni barocchi, soprattutto (già allora) dal consumo delle risorse e dall’inquinamento agli albori della città industriale. All’interno di questa – necessaria – conoscenza storica dei modelli di città, il concetto e la dimensione del quartiere, nelle sue varie accezioni ed articolazioni, emergono come elementi basilari dei rapporti sociali e produttivi della popolazione, e, al tempo stesso, matrice fondamentale della morfologia urbana e della costruzione delle sue diversità. La ricerca in questa fase, pertanto, approfondisce volta a volta i modelli di città, le relazioni in questi tra città e quartiere, e i modelli di quartiere nelle loro formulazioni. Alla conclusione del percorso di ricerca la dimensione del quartiere si presenta così, ancora, come la scala adeguata cui applicare una metodologia volta a massimizzare il concetto di sostenibilità in tutte le sue valenze: la teoria dell’architettura sostenibile costruita nella ricerca sarà applicata nella progettazione di quartiere – definibile su “scala media” – nell’ottica della progettazione architettonica e urbana (scala architettonica e scala urbana) perché, per la maggior parte degli abitanti delle città, la vita quotidiana si svolge nell’ambito del quartiere in cui risiedono e molti di loro – bambini, anziani, disoccupati – hanno poche occasioni di uscirne. Il quartiere, per tanti abitanti, è una “città locale” nella città vera e propria, è il loro mondo, dove ogni individuo può sentirsi libero di esprimersi, ed è un punto d’incontro fra individualità e comunità. La scala del quartiere perciò è quella più appropriata per applicare le strategie sostenibili, in quanto consente di gestire a livello locale questioni come il consumo idrico ed energetico, l’inquinamento acustico, la raccolta differenziata dei rifiuti, oltre a quelle legate alla discriminazione sociale.

Morfologia urbana e architettura sostenibile. Analisi e proposte per un quartiere contemporaneo

NGUYEN, QUANG DAT

Abstract

The thesis studies the relationship between urban morphology and sustainable architecture. It is proposed to give methodology to design sustainable neighbourhood.
FAZZINI, CLAUDIO
VALENTE, ILARIA PAMELA SIMONETTA
30-mar-2012
Urban morphology and sustainable architecture. Analysis and proposals for a contemporary neighbourhood
Architettura e sostenibilità. Negli ultimi decenni il degrado dell’ambiente, il cambiamento climatico e l’uso eccessivo e incontrollato delle risorse naturali hanno generato crisi profonde nella civiltà urbana e negli ecosistemi. Lo sviluppo basato sul consumo, in particolare delle risorse non riproducibili, ha ormai definitivamente dimostrato la propria insostenibilità in una prospettiva di lungo periodo, anche se persistono ovunque modi di pensare parcellizzati, incapaci di visioni ampie e comprensive. La necessità di recuperare il degrado e proteggere il nostro ambiente appare dunque interna a un processo evoluzionistico ineluttabile che deve innescare un capovolgimento delle attuali linee evolutive, una riconversione del sistema economico e produttivo. Purtroppo il concetto di sviluppo sostenibile è definito in modo generico e la mancanza di indirizzi omogenei per i diversi ambiti di applicazione causa innumerevoli difficoltà e malintesi ai professionisti dei diversi settori nel momento in cui devono mettere in pratica il concetto di “sostenibilità”. Il paradigma dello “sviluppo sostenibile” appare pertanto indispensabile, così come sembrano di conseguenza necessari approcci diversi e con esso coerenti per tutte le attività umane, e certamente in primo luogo per quelle, come l’architettura, volte a modificare l’ambiente fisico per le esigenze dell’uomo. L’architettura, come disciplina che più di ogni altra contribuisce a modificare il nostro spazio d’azione naturale, risente con forza del concetto di sostenibilità e di produzione sostenibile. L’architettura sostenibile (anche detta architettura eco-compatibile o bio-edilizia o bio-architettura) è spesso descritta come la soluzione migliore per rispondere alla crisi della civiltà urbana e anche ad una presunta crisi dell’architettura contemporanea. Dai concetti generali e condivisibili della necessità di un approccio sostenibile per l’architettura, si è così – molto rapidamente – passati alla formazione, allo sviluppo, alla crescita di quello che potremmo definire quasi uno “stile architettonico”, una visione totalizzante che nelle soluzioni tecniche e nelle modalità costruttive degli edifici ricerca la “risposta giusta” all’abitare contemporaneo; quasi sempre, sostanzialmente, alla scala del singolo edificio, anche se estesa a più edifici. Sono così fioriti studi e ricerche scientifiche e sono state tenute innumerevoli conferenze. Volendo trovare l’atto primigenio di questo processo di sviluppo del concetto di “sostenibilità” dovremmo di sicuro puntare l’attenzione sull’Expo ’92; da quel momento, infatti, l’architettura sostenibile attrae un’attenzione crescente fino a diventare quasi un termine populistico di cui avvalersi per evidenziare gli spillovers sociali positivi dell’azione edificatoria. Nella maggio parte di questi, tuttavia, l’attenzione è maggiormente, o quasi esclusivamente, volta agli aspetti costruttivi, e tavolta anche simbolici della sostenibilità, dove questa viene vista essenzialmente nella capacità dell’edificio di consumare meno risorse (l’edificio passivo) o di generare minor inquinamento nella sua fase costruttiva (le costruzioni in legno o a “Km zero”); ben poca attenzione è, al contrario, rivolta non solo agli aspetti complessivi della sostenibilità ambientale, e quindi all’organizzazione di stili di vita (urbani e non) che contemplino il funzionamento delle più diverse attività e relazioni sociali; ma anche ad un concetto più ampio di sostenibilità sociale, dal quale non si può prescindere e s’intende davvero affrontare e risolvere il problema di uno sviluppo diverso. È probabilmente anche per modi in cui si è espressa la sostenibilità che, fino ad oggi, «il mondo dell’architettura italiana, nella maggioranza dei casi, ha considerato le questioni ambientali e l’uso delle risorse come un tema complementare rispetto ai caratteri disciplinari tradizionalmente predominanti» (L. Molinari). Pertanto, l’architettura sostenibile in Italia deve ancora cercare un ruolo preciso nello scenario architettonico e urbano, deve conquistare un’identità, una possibile forma fisica, fissare i criteri concreti che la contraddistinguano e le garantiscano stabilità. La ricerca esamina l’architettura sostenibile costruendone il paradigma e mettendo in discussione i suoi principi per capire compiutamente quali siano i suoi aspetti tradizionali e quali siano, invece, le sue forze innovative con l’obiettivo di identificarne e isolarne le tendenze e poter rispondere alla domanda: esiste un futuro dell’architettura sostenibile in Italia? L’eredità storica. I due temi che compongono il titolo della ricerca sono quindi da vedersi contemporaneamente in modo dialettico e complementare: dialettico perché la ricerca indaga i presupposti irrinunciabili delle forme urbane, che si sono costruite in risposta all’intreccio delle relazioni e delle attività umane (e che quindi ne descrivono una sostenibilità sociale); confrontandoli con i paradigmi recenti di una sostenibilità ambientale che pure ha le proprie ragioni e potenzialità. Complementare perché solo dalla convergenza dei due fattori, non univoca e non sempre uguale, ma diversa nel “caso per caso”, si ritiene di poter giungere ad un concetto e ad un’ipotesi complessiva di sostenibilità urbana o di città sostenibile. È questa in fondo la ragione principale, unita poi alla necessità di radicamento nella storia e all’esigenza, per chi scrive, di comprensione dei paradigmi morfologici della città europea, di aver dedicato un lungo capitolo alla descrizione ed allo studio dei modelli di città e dei modelli di quartiere. In primo luogo perché il paradigma della sostenibilità, in un’accezione più ampia del termine di quanto non siamo ora abituati, è un tema che l’umanità e l’architettura affrontano da sempre per la propria sopravvivenza, e al quale hanno dato risposte diverse, a livello generale ed ambientale: basti pensare alla “dimensione congruente” della polis greca che non poteva mai superare i ventimila abitanti circa; e invece alle città imperiali come Roma con il diverso approccio (e la risoluzione) delle problematiche infrastrutturali e sociali per una città di un milione di abitanti. In secondo luogo, perché in tutti i momenti della storia in cui la cultura urbana ed architettonica si è trovata ad affrontare nuove forme dell’abitare, nascenti dal progresso nelle sue varie forme ed accezioni, ha individuato risposte, basate spesso sulla ri-elaborazione dei modelli precedenti nel tempo e/o distanti nello spazio, che si sono ritenuti adeguati a “sostenere” le variazioni indotte, via via, dalla diminuzione della popolazione nelle fasi di recessione, dall’accentramento delle popolazione nei regni barocchi, soprattutto (già allora) dal consumo delle risorse e dall’inquinamento agli albori della città industriale. All’interno di questa – necessaria – conoscenza storica dei modelli di città, il concetto e la dimensione del quartiere, nelle sue varie accezioni ed articolazioni, emergono come elementi basilari dei rapporti sociali e produttivi della popolazione, e, al tempo stesso, matrice fondamentale della morfologia urbana e della costruzione delle sue diversità. La ricerca in questa fase, pertanto, approfondisce volta a volta i modelli di città, le relazioni in questi tra città e quartiere, e i modelli di quartiere nelle loro formulazioni. Alla conclusione del percorso di ricerca la dimensione del quartiere si presenta così, ancora, come la scala adeguata cui applicare una metodologia volta a massimizzare il concetto di sostenibilità in tutte le sue valenze: la teoria dell’architettura sostenibile costruita nella ricerca sarà applicata nella progettazione di quartiere – definibile su “scala media” – nell’ottica della progettazione architettonica e urbana (scala architettonica e scala urbana) perché, per la maggior parte degli abitanti delle città, la vita quotidiana si svolge nell’ambito del quartiere in cui risiedono e molti di loro – bambini, anziani, disoccupati – hanno poche occasioni di uscirne. Il quartiere, per tanti abitanti, è una “città locale” nella città vera e propria, è il loro mondo, dove ogni individuo può sentirsi libero di esprimersi, ed è un punto d’incontro fra individualità e comunità. La scala del quartiere perciò è quella più appropriata per applicare le strategie sostenibili, in quanto consente di gestire a livello locale questioni come il consumo idrico ed energetico, l’inquinamento acustico, la raccolta differenziata dei rifiuti, oltre a quelle legate alla discriminazione sociale.
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