Il concetto alla base del progetto risiede nella volontà di creare un collegamento diretto tra la città e il fiume, tra due nuclei che storicamente sono sempre rimasti separati e la cui distanza è stata dettata sia dalla volontà dell’uomo-progettista-di-città, sia dalla presenza di zone marginali piuttosto che infrastrutturali. Pur essendo una connessione diretta tra le due parti, l’architettura di progetto prevede una successione di accadimenti che intervallano, scandiscono questa rettilineità, fornendole movimento e generando i medesimi meccanismi caratterizzanti il nucleo urbano stesso (spostamenti, accadimenti): la discontinuità, nei termini di relazione tra le parti, è il vero carattere identificativo di questa architettura. Il tempo rappresenta, pertanto, uno degli elementi chiave: nonostante la struttura come manufatto esprima un certo ritmo (l’elemento puntuale come battito breve; la successione di elementi, generanti le campate, come intervalli), i cambiamenti di frequenza degli accadimenti (il loro addensarsi piuttosto che rendersi più radi), le intersezioni con le infrastrutture e la conseguente generazione di polarità e nodi, rendono il manufatto leggibile anche nella forma del ritmicità. Il luogo con cui l’architettura deve confrontarsi è un paesaggio in condizione di dispersione, senza alcuna identità, mancante di disegno e confuso: l’ipotesi di progetto prevede, pertanto, un ridisegno di questo paesaggio sulla base del rapporto agricoltura – città. L’obiettivo è quello di garantire un graduale passaggio tra la dimensione della Natura in città (nella forma dell’orto urbano), l’agricoltura diffusa ed infine la Natura lasciata libera dai dettami e dalle esigenze umane (il lungo argine, il Po e i pioppeti). La morfologia stessa del manufatto rappresenta, quindi, una dichiarazione di intenti: una continua relazione tra interno- esterno, non solo in termini visivi, ma soprattutto relazionali rispetto alle infrastrutture presenti. Il risultato finale non sarà un mero padiglione espositivo bensì uno spazio della cultura-coltura, dove al suo interno si dipanano tematiche, dibattiti, confronti: lo spazio della trasformazione di una possibile idea di città.
La storia di una distanza, la ricerca di un contatto. Un ponte abitato per l'Expo 2015 a Piacenza
RANCATI, LARA;GALLI, FRANCESCO;PRESTINI, SARA
2011/2012
Abstract
Il concetto alla base del progetto risiede nella volontà di creare un collegamento diretto tra la città e il fiume, tra due nuclei che storicamente sono sempre rimasti separati e la cui distanza è stata dettata sia dalla volontà dell’uomo-progettista-di-città, sia dalla presenza di zone marginali piuttosto che infrastrutturali. Pur essendo una connessione diretta tra le due parti, l’architettura di progetto prevede una successione di accadimenti che intervallano, scandiscono questa rettilineità, fornendole movimento e generando i medesimi meccanismi caratterizzanti il nucleo urbano stesso (spostamenti, accadimenti): la discontinuità, nei termini di relazione tra le parti, è il vero carattere identificativo di questa architettura. Il tempo rappresenta, pertanto, uno degli elementi chiave: nonostante la struttura come manufatto esprima un certo ritmo (l’elemento puntuale come battito breve; la successione di elementi, generanti le campate, come intervalli), i cambiamenti di frequenza degli accadimenti (il loro addensarsi piuttosto che rendersi più radi), le intersezioni con le infrastrutture e la conseguente generazione di polarità e nodi, rendono il manufatto leggibile anche nella forma del ritmicità. Il luogo con cui l’architettura deve confrontarsi è un paesaggio in condizione di dispersione, senza alcuna identità, mancante di disegno e confuso: l’ipotesi di progetto prevede, pertanto, un ridisegno di questo paesaggio sulla base del rapporto agricoltura – città. L’obiettivo è quello di garantire un graduale passaggio tra la dimensione della Natura in città (nella forma dell’orto urbano), l’agricoltura diffusa ed infine la Natura lasciata libera dai dettami e dalle esigenze umane (il lungo argine, il Po e i pioppeti). La morfologia stessa del manufatto rappresenta, quindi, una dichiarazione di intenti: una continua relazione tra interno- esterno, non solo in termini visivi, ma soprattutto relazionali rispetto alle infrastrutture presenti. Il risultato finale non sarà un mero padiglione espositivo bensì uno spazio della cultura-coltura, dove al suo interno si dipanano tematiche, dibattiti, confronti: lo spazio della trasformazione di una possibile idea di città.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/10589/68141