Dinanzi ad una crisi economica e finanziaria ampiamente riconosciuta ve n’è una a mio avviso forse troppo sottovaluta: la crisi della città. La riduzione delle opportunità (possibilità di fare), l’aumento dell’esclusione (impossibilità di partecipare all’interazione sociale ed economica) e problemi amministrativi (crisi del modello assistenzialista) sono oggi tre temi assolutamente cruciali su cui vale la pena riflettere. L’aumento della tassazione, la presenza di iter burocratici dispendiosi, standard troppo restrittivi e modi di pensare alla gestione del patrimonio collettivo, sono tutti fenomeni nati per favorire una migliore vivibilità all’interno delle nostre città. Oggi però questi fenomeni si stanno rigirando contro creando degli effetti inintenzionali che paradossalmente sfavoriscono soprattutto chi abita in quartieri marginali, chi possiede meno ricchezza e chi vuole intraprendere dal basso creando una nuova attività. Il mio timore è che nel tempo ci si stia abituando a questa situazione di stasi con l’incapacità di tornare a guardare alla città come un’occasione e non solo come la presenza di tanti limiti. Un approccio fatalista ai problemi della città si sta diffondendo favorendo una situazione di immobilismo generale che non coglie appieno le straordinarie potenzialità delle città. Per tale motivo, ho deciso di rileggere Jane Jacobs e portare all’attenzione il suo contributo a mio avviso innovativo e sottovalutato. Per far ciò ho deciso di guardare principalmente a due dei suoi scritti: ‘Vita e morte delle grandi città’ (1961) e ‘L’economie delle città’ (1969). L’autrice americana, all’interno dei suoi elaborati, ci offre in primo luogo spunti e riflessioni per poter ripensare in maniera critica all’attuale modo di amministrare le città e, in secondo luogo, evidenzia le potenzialità e le positività che le stesse offrono a chi le abita. Il suo interesse per la realtà e la sua devozione alla città come processo incrementale (apparentemente disordinato) che rimette al centro della discussione l’uomo e i suoi territori, sono elementi da cui chi amministra non può non prescindere. Bisogna capire che la città è fatta per gli abitanti e non il contrario. Si deve tornare ad immaginare una città che sappia rispondere ai bisogni delle persone, e che permetta al contempo alle stesse di potersi esprimere e migliorare il benessere collettivo. In altre parole, si deve tornare a guardare alle città come un’occasione di benessere, di apertura, di pluralismo e di sviluppo per tutti noi. Oltre ai motivi appena delineati, credo che Jane Jacobs vada letta e considerata seriamente in quanto propone, di fronte ad una svalutazione del ruolo positivo della città, punti di vista alternativi che riconsiderano le potenzialità del vivere urbano rispondendo ad almeno cinque questioni urbane centrali su cui vale la pena riflettere. In primis reputo che il lavoro di Jane Jacobs vada assolutamente riconsiderato in quanto parla di città riportando al centro del dibattito il ruolo positivo dell’uomo . Un altro motivo fondamentale, per cui vale la pena rileggere il tutto, è per provare a guardare ai margini (sociali e urbani) in maniera alternativa, rivalutandone il possibile ruolo positivo, cogliendo appieno le occasioni che offrono sia per i singoli individui che per l’intera città . Un’altra ragione è sicuramente per riflettere, in maniera un po’meno prevenuta, sul tema dell’esclusione sociale e sugli effetti che questo fenomeno può avere per l’intero sistema urbano pregiudicandone negativamente lo sviluppo . Un quarto movente di notevole importanza ci spinge a guardare alla città a diverse scale e quindi ad avvicinarsi al contesto e considerare seriamente il funzionamento di piccoli ambiti urbani, adoperando un atteggiamento induttivo (che dal particolare porta a considerazioni più generali e non viceversa) ponendo in risalto l’importanza del micro così come del macro . In ultimo, un motivo valido per rileggere Jane Jacobs è per non separare mai l’idea di città che ciascuno di noi ha, e che si vorrebbe realizzare attraverso piani e politiche, dal suo reale funzionamento. La città va intesa come il risultato di un processo continuo e altamente complesso di azioni umane; ridurre il tutto a semplici visioni non solo non favorisce una corretta comprensione della realtà, ma rischia, il più delle volte, di comprometterne i processi spontanei e positivi già esistenti all’interno delle nostre città. Insomma, i motivi per rileggere Jane Jacobs non mancano. Naturalmente ciò che proporrò, all’interno di questa tesi, altro non è che uno dei modi possibili per avvicinarsi alla scrittrice. Per tale motivo cercherò di citare direttamente il più possibile i suoi scritti durante le argomentazioni che sosterrò o, qualora non fosse possibile, attraverso le note poste in fondo alla pagina. La tesi sarà suddivisa in tre parti. Nella prima parte viene addensata tutta la teoria, riproponendo le interpretazioni ad oggi esistenti e una nuova rilettura critica a mio avviso pertinente. Nella seconda parte invece si propone un indicatore sintetico, atto a giudicare in maniera coerente la città esistente, considerando seriamente il pensiero della scrittrice. In fine, nella terza e ultima parte, vengono analizzati dieci quartieri milanesi per poi giungere verso le conclusioni finali proponendo un modo alternativo di guardare la città esistente, riflessioni e possibili interventi per avvicinarsi in maniera positiva alle potenzialità inattese che le città offrono.

Potenzialità inattese rileggendo Jane Jacobs

COZZOLINO, STEFANO
2011/2012

Abstract

Dinanzi ad una crisi economica e finanziaria ampiamente riconosciuta ve n’è una a mio avviso forse troppo sottovaluta: la crisi della città. La riduzione delle opportunità (possibilità di fare), l’aumento dell’esclusione (impossibilità di partecipare all’interazione sociale ed economica) e problemi amministrativi (crisi del modello assistenzialista) sono oggi tre temi assolutamente cruciali su cui vale la pena riflettere. L’aumento della tassazione, la presenza di iter burocratici dispendiosi, standard troppo restrittivi e modi di pensare alla gestione del patrimonio collettivo, sono tutti fenomeni nati per favorire una migliore vivibilità all’interno delle nostre città. Oggi però questi fenomeni si stanno rigirando contro creando degli effetti inintenzionali che paradossalmente sfavoriscono soprattutto chi abita in quartieri marginali, chi possiede meno ricchezza e chi vuole intraprendere dal basso creando una nuova attività. Il mio timore è che nel tempo ci si stia abituando a questa situazione di stasi con l’incapacità di tornare a guardare alla città come un’occasione e non solo come la presenza di tanti limiti. Un approccio fatalista ai problemi della città si sta diffondendo favorendo una situazione di immobilismo generale che non coglie appieno le straordinarie potenzialità delle città. Per tale motivo, ho deciso di rileggere Jane Jacobs e portare all’attenzione il suo contributo a mio avviso innovativo e sottovalutato. Per far ciò ho deciso di guardare principalmente a due dei suoi scritti: ‘Vita e morte delle grandi città’ (1961) e ‘L’economie delle città’ (1969). L’autrice americana, all’interno dei suoi elaborati, ci offre in primo luogo spunti e riflessioni per poter ripensare in maniera critica all’attuale modo di amministrare le città e, in secondo luogo, evidenzia le potenzialità e le positività che le stesse offrono a chi le abita. Il suo interesse per la realtà e la sua devozione alla città come processo incrementale (apparentemente disordinato) che rimette al centro della discussione l’uomo e i suoi territori, sono elementi da cui chi amministra non può non prescindere. Bisogna capire che la città è fatta per gli abitanti e non il contrario. Si deve tornare ad immaginare una città che sappia rispondere ai bisogni delle persone, e che permetta al contempo alle stesse di potersi esprimere e migliorare il benessere collettivo. In altre parole, si deve tornare a guardare alle città come un’occasione di benessere, di apertura, di pluralismo e di sviluppo per tutti noi. Oltre ai motivi appena delineati, credo che Jane Jacobs vada letta e considerata seriamente in quanto propone, di fronte ad una svalutazione del ruolo positivo della città, punti di vista alternativi che riconsiderano le potenzialità del vivere urbano rispondendo ad almeno cinque questioni urbane centrali su cui vale la pena riflettere. In primis reputo che il lavoro di Jane Jacobs vada assolutamente riconsiderato in quanto parla di città riportando al centro del dibattito il ruolo positivo dell’uomo . Un altro motivo fondamentale, per cui vale la pena rileggere il tutto, è per provare a guardare ai margini (sociali e urbani) in maniera alternativa, rivalutandone il possibile ruolo positivo, cogliendo appieno le occasioni che offrono sia per i singoli individui che per l’intera città . Un’altra ragione è sicuramente per riflettere, in maniera un po’meno prevenuta, sul tema dell’esclusione sociale e sugli effetti che questo fenomeno può avere per l’intero sistema urbano pregiudicandone negativamente lo sviluppo . Un quarto movente di notevole importanza ci spinge a guardare alla città a diverse scale e quindi ad avvicinarsi al contesto e considerare seriamente il funzionamento di piccoli ambiti urbani, adoperando un atteggiamento induttivo (che dal particolare porta a considerazioni più generali e non viceversa) ponendo in risalto l’importanza del micro così come del macro . In ultimo, un motivo valido per rileggere Jane Jacobs è per non separare mai l’idea di città che ciascuno di noi ha, e che si vorrebbe realizzare attraverso piani e politiche, dal suo reale funzionamento. La città va intesa come il risultato di un processo continuo e altamente complesso di azioni umane; ridurre il tutto a semplici visioni non solo non favorisce una corretta comprensione della realtà, ma rischia, il più delle volte, di comprometterne i processi spontanei e positivi già esistenti all’interno delle nostre città. Insomma, i motivi per rileggere Jane Jacobs non mancano. Naturalmente ciò che proporrò, all’interno di questa tesi, altro non è che uno dei modi possibili per avvicinarsi alla scrittrice. Per tale motivo cercherò di citare direttamente il più possibile i suoi scritti durante le argomentazioni che sosterrò o, qualora non fosse possibile, attraverso le note poste in fondo alla pagina. La tesi sarà suddivisa in tre parti. Nella prima parte viene addensata tutta la teoria, riproponendo le interpretazioni ad oggi esistenti e una nuova rilettura critica a mio avviso pertinente. Nella seconda parte invece si propone un indicatore sintetico, atto a giudicare in maniera coerente la città esistente, considerando seriamente il pensiero della scrittrice. In fine, nella terza e ultima parte, vengono analizzati dieci quartieri milanesi per poi giungere verso le conclusioni finali proponendo un modo alternativo di guardare la città esistente, riflessioni e possibili interventi per avvicinarsi in maniera positiva alle potenzialità inattese che le città offrono.
ARC I - Scuola di Architettura e Società
21-dic-2012
2011/2012
Tesi di laurea Magistrale
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