La dismissione dello scalo di Porta Romana e la conseguente “riconversione”/riorganizzazione dell'area sono l'occasione per proporre un progetto inteso come momento della costruzione della città nel quadro delle trasformazioni della Milano. L'area dello Scalo di Porta Romana divide la Milano ottocentesca, costruita sui tracciati del piano Beruto, dall'edificazione a Sud, più articolata e frammentaria, sorta all'esterno della cinta ferroviaria a partire dall’inizio del secolo, laddove venivano concentrate le attività espulse dalla città borghese (fabbriche, magazzini). Il progetto persegue l'obiettivo di affrontare i due problemi fondamentali che si incontrano sull'area: la definizione di uno progetto capace di stabilire le relazioni perdute nel disegno della città, ritrovando il rapporto tra le due parti di città attualmente distinte e risolvendo la cesura (fisica e formale) prodotta dalla ferrovia. La ferrovia è un limite accidentale e un confine da superare. I binari sono un limite concreto che non si può spostare o eludere, e che il progetto è costretto ad accogliere: la ferrovia è “libera” e autonoma nella città, ed entra a farne parte perché l'attraversa indifferente. È sempre manifesta, cioè non più chiusa da barriere fisiche, e allo stesso tempo permette anche di essere oltrepassata con lo sguardo da un lato all'altro del parco. È il progetto che individua il parco e l'edificato come un'unica città, attraverso le relazioni che gli edifici stabiliscono con la loro presenza a nord e a sud del tracciato ferroviario. L'ordine significativo che il progetto vuole rivelare è l'orientamento nord-ovest/sud-est rintracciabile nella parte di città a Sud, che rispecchia quello del sistema idrico, vera essenza e fattore determinante dell'assetto ambientale (e dell'organizzazione produttiva) dell'area, che suggeriva anche l'orientamento dei tracciati stradali preesistenti il Piano Beruto. Riconoscendo un valore nell'antico disegno, negato dalla lottizzazione berutiana, lo riaccogliamo per confrontarci con la città e scorgere le regole in essa sottese. Ipotizziamo una città per tipi misti: a sud, disposti di testa lungo via Lorenzetti, gli edifici in linea dettano la regola, cioè l'orientamento prevalente e una misura per l'area, individuano le trame a vasta scala; A nord della ferrovia un'edificazione di tipo estensivo si attiene all'orientamento est-ovest del Piano Beruto, ne accetta le pause dettate dai tracciati stradali (vera essenza del piano), ma non accetta la costruzione per isolati borghesi. I due schemi si congiungono nell'elemento nodale delle torri su piazzale Lodi, che chiariscono la relazione tra i due orientamenti differenti, fungono contemporaneamente da elemento di conclusione del piazzale e di porta per la penetrazione nel parco. È attraverso la loro conformazione e posizione che si sottolinea la possibilità di oltrepassare la ferrovia per costituire con il nuovo edificato un'unica città in cui gli edifici intrattengono un rapporto privilegiato con l'elemento naturale. L'orientamento stabilito da via Lorenzetti è ripreso dal nuovo tracciato, unico a attraversare il parco, che congiunge (con un atto naturale suggerito dai tracciati esistenti) via Mantova e via Calabiana Arcivescovo. Su questo tracciato si attestano le grandi lame che si sviluppano con la loro regola fino al limite della campagna, evidenziando l'effettivo rapporto tra questo orientamento e l'area a sud dello scalo. Il sistema di relazioni tra le parti della città e il parco e soprattutto il valore della varietà tipologica realizzano un ordine urbano complesso in grado di delineare per mezzo dell'apertura spaziale delle strutture urbane, un'alternativa teorica ai modi di costruzione della città ottocentesca. (Bruno- questo andava bene per hilbe, però noi diamo una risposta alternativa sì rispetto al Beruto ma dovrebbe esserlo anche rispetto a un certo modo di fare città attuale) e al contempo alternativa radicale ai modi correnti di costruzione della città contemporanea, nel tentativo di ricomprendere in un nuovo disegno le differenti trame urbane che a tratti riaffiorano nel tessuto continuo dell’edificato.

Progetto per lo scalo di Porta Romana

ROSSO, CATERINA;GENNARI, GIANLUCA;ROCCO, VALENTINA
2011/2012

Abstract

La dismissione dello scalo di Porta Romana e la conseguente “riconversione”/riorganizzazione dell'area sono l'occasione per proporre un progetto inteso come momento della costruzione della città nel quadro delle trasformazioni della Milano. L'area dello Scalo di Porta Romana divide la Milano ottocentesca, costruita sui tracciati del piano Beruto, dall'edificazione a Sud, più articolata e frammentaria, sorta all'esterno della cinta ferroviaria a partire dall’inizio del secolo, laddove venivano concentrate le attività espulse dalla città borghese (fabbriche, magazzini). Il progetto persegue l'obiettivo di affrontare i due problemi fondamentali che si incontrano sull'area: la definizione di uno progetto capace di stabilire le relazioni perdute nel disegno della città, ritrovando il rapporto tra le due parti di città attualmente distinte e risolvendo la cesura (fisica e formale) prodotta dalla ferrovia. La ferrovia è un limite accidentale e un confine da superare. I binari sono un limite concreto che non si può spostare o eludere, e che il progetto è costretto ad accogliere: la ferrovia è “libera” e autonoma nella città, ed entra a farne parte perché l'attraversa indifferente. È sempre manifesta, cioè non più chiusa da barriere fisiche, e allo stesso tempo permette anche di essere oltrepassata con lo sguardo da un lato all'altro del parco. È il progetto che individua il parco e l'edificato come un'unica città, attraverso le relazioni che gli edifici stabiliscono con la loro presenza a nord e a sud del tracciato ferroviario. L'ordine significativo che il progetto vuole rivelare è l'orientamento nord-ovest/sud-est rintracciabile nella parte di città a Sud, che rispecchia quello del sistema idrico, vera essenza e fattore determinante dell'assetto ambientale (e dell'organizzazione produttiva) dell'area, che suggeriva anche l'orientamento dei tracciati stradali preesistenti il Piano Beruto. Riconoscendo un valore nell'antico disegno, negato dalla lottizzazione berutiana, lo riaccogliamo per confrontarci con la città e scorgere le regole in essa sottese. Ipotizziamo una città per tipi misti: a sud, disposti di testa lungo via Lorenzetti, gli edifici in linea dettano la regola, cioè l'orientamento prevalente e una misura per l'area, individuano le trame a vasta scala; A nord della ferrovia un'edificazione di tipo estensivo si attiene all'orientamento est-ovest del Piano Beruto, ne accetta le pause dettate dai tracciati stradali (vera essenza del piano), ma non accetta la costruzione per isolati borghesi. I due schemi si congiungono nell'elemento nodale delle torri su piazzale Lodi, che chiariscono la relazione tra i due orientamenti differenti, fungono contemporaneamente da elemento di conclusione del piazzale e di porta per la penetrazione nel parco. È attraverso la loro conformazione e posizione che si sottolinea la possibilità di oltrepassare la ferrovia per costituire con il nuovo edificato un'unica città in cui gli edifici intrattengono un rapporto privilegiato con l'elemento naturale. L'orientamento stabilito da via Lorenzetti è ripreso dal nuovo tracciato, unico a attraversare il parco, che congiunge (con un atto naturale suggerito dai tracciati esistenti) via Mantova e via Calabiana Arcivescovo. Su questo tracciato si attestano le grandi lame che si sviluppano con la loro regola fino al limite della campagna, evidenziando l'effettivo rapporto tra questo orientamento e l'area a sud dello scalo. Il sistema di relazioni tra le parti della città e il parco e soprattutto il valore della varietà tipologica realizzano un ordine urbano complesso in grado di delineare per mezzo dell'apertura spaziale delle strutture urbane, un'alternativa teorica ai modi di costruzione della città ottocentesca. (Bruno- questo andava bene per hilbe, però noi diamo una risposta alternativa sì rispetto al Beruto ma dovrebbe esserlo anche rispetto a un certo modo di fare città attuale) e al contempo alternativa radicale ai modi correnti di costruzione della città contemporanea, nel tentativo di ricomprendere in un nuovo disegno le differenti trame urbane che a tratti riaffiorano nel tessuto continuo dell’edificato.
BRUNO, FRANCESCO
BELLONI, FRANCESCA
MIELE, EZIO
PETRINI, VINCENZO
PELLAVIO, MARCO
ARC II - Scuola di Architettura Civile
22-apr-2013
2011/2012
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/80433