Pavia romana, Pavia rinascimentale, Pavia neoclassica: tre tappe coerenti, tre momenti coesi nella definizione di un assetto riconoscibile, tre fasi ugualmente tese alla procrastinazione di paradigmi logici, privi di contraddizioni. Il progetto per una Biblioteca ad ampliamento dell’Università di Pavia rilegge la “città come storia”, la sua evoluzione lineare, rigorosa, essenziale, verso la fondazione di una struttura compatta e concettualmente ideale che viene riconfermata di volta in volta nei secoli. Elemento base di caratterizzazione e determinazione del nucleo costruito, modulo di riferimento di un impianto intellegibile, l’isolato urbano quadrato non è altro che quel dato dimensionale, funzionale e compositivo, quell’entità irriducibile che esplicita la legge elementare della forma della città, il suo impianto razionale, il suo tipo architettonico ripetibile con caratteri e componenti della pianta centrale. L’isolato diviene pertanto un pezzo autonomo – e nello stesso tempo dipendente – di una prassi d’incastri perfetti; e la città, nella totalità dei brani che la costituiscono, è la sintesi di singole unità raggruppate, una molteplicità condensata. Dal particolare al generale, e poi nuovamente, secondo un processo inverso, dal generale al particolare: la logica di costruzione dell’assetto urbano è la medesima di quella dialettica sistematica che eleva il complesso universitario ad emblema dello statuto aggregativo, potenzialmente estendibile all’infinito. La nuova residenza speciale reitera il principio morfo-tipologico descritto: fissata sulla figura geometrica regolare ad quadratum, la biblioteca assume come genesi la tipologia dell’isolato; l’archetipo architettonico diviene indicazione della regola dimensionale attorno alla quale si riuniscono i differenti servizi, le sale bibliotecarie, gli elementi di distribuzione collettivi a rievocazione della strada porticata, e i tracciati di riferimento costituiscono il sostegno di principio-meccanismo di trasformazione che definisce le aree libere e riconquista, di fronte all’impoverimento ottocentesco, l’autentico significato urbano di Pavia. Posso concludere che la città di Pavia è stata una vera e propria lezione d’architettura. La struttura urbana ed i rapporti tra le parti costituiscono essi stessi un laboratorio di progettazione poiché la struttura reale della città si basa sulla presenza fisica di una serie di elementi ideali. Tale evidente disposizione architettonica si può verificare sia mediante un indagine morfologica sia tramite uno studio tipologico: la prima permette di individuare le relazioni tra le parti e di chiarire i modi e le ragioni della connessione delle forme, mentre il secondo dimostra che l’occupazione del suolo, in ogni sua declinazione, non può fare a meno della struttura degli isolati romani. Tale principio costruttivo ha svelato nel tempo il suo dato di necessità rispetto alle regole di costruzione e di edificazione della città: la misura di 80x80 metri, assunta come convenzionale, è stata costantemente trasformata in architettura mediante un processo dialettico di adattamento e di modifica che ha permesso la costruzione reale di una città esemplare. In quest’ottica progettuale del tutto astorica, la lettura della costruzione urbana di Pavia può avvenire attraverso l’esame di alcuni periodi significativi cioè delle epoche in cui, con maggiore forza ed evidenza, è stata espressa un’idea compiuta di struttura urbana, un modello dal quale la città reale è stata influenzata. Come detto all’inizio di questa introduzione nella storia di Pavia è possibile individuare alcuni momenti storici fondamentali per il processo di costruzione e di modificazione della forma urbis: la città romana di fondazione, quella medioevale, la Pavia rinascimentale visconteo-sforzesca, e quella neoclassica o teresiana. Tali periodi si alternano con altri meno decisivi in grado, comunque, almeno fino alla seconda metà dell’Ottocento, di riconfermare le regole costruttive stabilite dalla forma urbana.
Ampliamento della città di Pavia : progetto di una biblioteca
GHIRARDI, GIULIO
2011/2012
Abstract
Pavia romana, Pavia rinascimentale, Pavia neoclassica: tre tappe coerenti, tre momenti coesi nella definizione di un assetto riconoscibile, tre fasi ugualmente tese alla procrastinazione di paradigmi logici, privi di contraddizioni. Il progetto per una Biblioteca ad ampliamento dell’Università di Pavia rilegge la “città come storia”, la sua evoluzione lineare, rigorosa, essenziale, verso la fondazione di una struttura compatta e concettualmente ideale che viene riconfermata di volta in volta nei secoli. Elemento base di caratterizzazione e determinazione del nucleo costruito, modulo di riferimento di un impianto intellegibile, l’isolato urbano quadrato non è altro che quel dato dimensionale, funzionale e compositivo, quell’entità irriducibile che esplicita la legge elementare della forma della città, il suo impianto razionale, il suo tipo architettonico ripetibile con caratteri e componenti della pianta centrale. L’isolato diviene pertanto un pezzo autonomo – e nello stesso tempo dipendente – di una prassi d’incastri perfetti; e la città, nella totalità dei brani che la costituiscono, è la sintesi di singole unità raggruppate, una molteplicità condensata. Dal particolare al generale, e poi nuovamente, secondo un processo inverso, dal generale al particolare: la logica di costruzione dell’assetto urbano è la medesima di quella dialettica sistematica che eleva il complesso universitario ad emblema dello statuto aggregativo, potenzialmente estendibile all’infinito. La nuova residenza speciale reitera il principio morfo-tipologico descritto: fissata sulla figura geometrica regolare ad quadratum, la biblioteca assume come genesi la tipologia dell’isolato; l’archetipo architettonico diviene indicazione della regola dimensionale attorno alla quale si riuniscono i differenti servizi, le sale bibliotecarie, gli elementi di distribuzione collettivi a rievocazione della strada porticata, e i tracciati di riferimento costituiscono il sostegno di principio-meccanismo di trasformazione che definisce le aree libere e riconquista, di fronte all’impoverimento ottocentesco, l’autentico significato urbano di Pavia. Posso concludere che la città di Pavia è stata una vera e propria lezione d’architettura. La struttura urbana ed i rapporti tra le parti costituiscono essi stessi un laboratorio di progettazione poiché la struttura reale della città si basa sulla presenza fisica di una serie di elementi ideali. Tale evidente disposizione architettonica si può verificare sia mediante un indagine morfologica sia tramite uno studio tipologico: la prima permette di individuare le relazioni tra le parti e di chiarire i modi e le ragioni della connessione delle forme, mentre il secondo dimostra che l’occupazione del suolo, in ogni sua declinazione, non può fare a meno della struttura degli isolati romani. Tale principio costruttivo ha svelato nel tempo il suo dato di necessità rispetto alle regole di costruzione e di edificazione della città: la misura di 80x80 metri, assunta come convenzionale, è stata costantemente trasformata in architettura mediante un processo dialettico di adattamento e di modifica che ha permesso la costruzione reale di una città esemplare. In quest’ottica progettuale del tutto astorica, la lettura della costruzione urbana di Pavia può avvenire attraverso l’esame di alcuni periodi significativi cioè delle epoche in cui, con maggiore forza ed evidenza, è stata espressa un’idea compiuta di struttura urbana, un modello dal quale la città reale è stata influenzata. Come detto all’inizio di questa introduzione nella storia di Pavia è possibile individuare alcuni momenti storici fondamentali per il processo di costruzione e di modificazione della forma urbis: la città romana di fondazione, quella medioevale, la Pavia rinascimentale visconteo-sforzesca, e quella neoclassica o teresiana. Tali periodi si alternano con altri meno decisivi in grado, comunque, almeno fino alla seconda metà dell’Ottocento, di riconfermare le regole costruttive stabilite dalla forma urbana.File | Dimensione | Formato | |
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