Maria Elena è l’ultima Company Town dell’industria mineraria del nitrato in attività nel deserto di Atacama, nel nord del Cile. Il proprietario della città è l’impresa privata SQM. Tuttavia, dall’anno 1980 Maria Elena è anche una municipalità. In questa situazione unica, l’organo amministrativo statale si trova inserito in terreni privati, e pertanto è obbligato a negoziare con l’impresa, ottenendo terreni in comodato per un tempo determinato. Di conseguenza, risulta uno stato di tensione fra il “jefe de campamento” -capo della città, massima autorità dell’impresa SQM- ed il sindaco -massima autorità della municipalità-. A questa duplicazione amministrativa della città si somma la forte segregazione spaziale dei suoi abitanti, dovuto al modello urbano neocoloniale con cui fu concepita e realizzata negli anni ‘20, e che fino ad oggi rimane vigente. Così, la città risulta divisa in “barrio obrero” -quartiere operaio, in forma ottagonale- e “barrio americano” -quartiere dei supervisori, in forma di sobborgo Garden-City- a cui si aggiunge un quartiere di nuova espansione che si è formato col passare degli anni, colmando lo spazio fra i due quartieri originari sopracitati. Le contraddizioni di questa duplicazione amministrativa e segregazione spaziale giungono ad un punto di crisi nel sistema di fornitura di energia ed acqua alla città: - Amministrativamente se ne occupa l’impresa SQM, che compra acqua ed elettricità “da fuori”, per venderle successivamente alla municipalità. L’acqua viene comprata dall’impresa “Aguas Antofagasta”, che la preleva dal rio Loa. L’elettricità invece viene comprata da Tocopilla, dove viene prodotta con centrali termoelettriche. Come conseguenza della gestione privata, “l’impresa ha il potere di fare ciò che vuole con questi servizi basici. L’impresa taglia la corrente una o due volte al mese”, affermano gli abitanti della città. - Spazialmente, ogni quartiere possiede la propria rete di fornitura di energia elettrica ed acqua. Il quartiere operaio, il quartiere dei supervisori ed i quartieri di nuova espansione possiedono ciascuno la sua rete. “Tutto ciò che è sistema elettrico, acqua potabile e fognatura è obsoleto”. Così, questi servizi basici si riconoscono come la principale necessità di trasformazione per una città mineraria che, secondo gli esperti, avrà ancora più di 50 anni di vita, dovuto alla ricchezza del territorio circostante che tuttavia non è stata sfruttata. Il progetto cerca di rendere evidenti le contraddizioni latenti in Maria Elena, allo stesso tempo che cerca di risolverle, intervenendo nel tema critico della fornitura di energia ed acqua alla città. Per questo obiettivo, appaiono necessarie due premesse: - In primo luogo, si auspica il passaggio della gestione di questi servizi alla municipalità, lasciando l’impresa SQM responsabile solo della rete dell’area industriale. - In secondo luogo, si propone di terminare di prelevare l’acqua dall’agonizzante fiume Loa, contaminato e con un caudale minimo dovuto all’intensa attività mineraria, che pone a serio rischio la sopravvivenza delle comunità indigene che dalle acque di questo fiume dipendono. Con queste premesse, si propone un ridisegno dell’infrastruttura di fornitura di energia e acqua nella seguente forma: - Si propone di prelevare acqua di mare al porto di Tocopilla, e portarla a Maria Elena lungo la ferrovia esistente e funzionante. Attualmente, i vagoni del treno viaggiano carichi di sacchi di nitrato da Maria Elena fino al porto di Tocopilla, per poi tornare vuoti alla città nel deserto. Con il progetto si propone di caricare tali vagoni di acqua di mare nel viaggio di ritorno. - Una volta giunta a Maria Elena, l’acqua salata verrebbe convertita in potabile con un impianto desalinizzatore solare collocato in un grande vuoto urbano, oggigiorno usato come discarica illegale, riqualificando così questo spazio. L’architettura apporterebbe al disegno di tale impianto desalinizzatore conferendogli una funzione “altra”, trasformandolo in scenario per spettacoli ed eventi all’aria aperta. - Una volta desalinizzata e purificata, l’acqua verrebbe distribuita in maniera uniforme in tutte le case, egualitariamente per tutta la città, per mezzo di una nuova infrastruttura urbana che conferirebbe una nuova immagine unitaria a Maria Elena. Si tratterebbe di un acquedotto sopraelevato, che allo stesso tempo funzionerebbe come portico ombreggiato lungo le soleggiate strade elenine, migliorando la qualità dello spazio pubblico della città. All’atto di sopraelevare l’acquedotto, questo diventerebbe visibile da ogni parte in una città che si sviluppa per intero al piano terra. La gran visibilità di questa infrastruttura la convertirebbe in nuova icona urbana dall’elevato valore simbolico, in una città del deserto dove la scarsità di acqua è un tema centrale. Il tramo principale dell’acquedotto attraverserebbe la città in senso longitudinale lungo la strada principale, l’avenida Carrera Pinto. - Al condotto principale dell’acqua verrebbe incorporato un impianto CSP (Concentrated Solar Power) Fresnel, costituito da una serie di specchi lineari che concentrano l’energia solare in un ricettore lineare, producendo energia termica che verrebbe utilizzata nel processo di desalinizzazione dell’acqua di mare, oltre che per riscaldare l’acqua potabile e, una volta convertita in energia elettrica, per soddisfare il fabbisogno energetico di tutta la città. Gli specchi dell’impianto CSP, elevati al livello di copertura, fungerebbero da elementi schermasole. - Le acque grigie, prodotto dell’uso domestico, verrebbero fitodepurate con un sistema di vasche con piante, collocate nel medesimo vuoto urbano in cui si inserisce l'impianto desalinizzatore. - L’acqua fitodepurata verrebbe occupata per irrigare gli alberi della città, il cui numero verrebbe incrementato creando nuovi corridoi ombreggiati. Dunque, alla domanda di come rapportarsi con un modello urbano neocoloniale degli anni ‘20, oggigiorno obsoleto, la risposta che si da con il progetto è di sovrapporgli un nuovo layer di infrastruttura, che rispetta la città esistente lasciando intatta la sua forma urbana, allo stesso tempo che ne cambia il funzionamento d’accordo con le necessità attuali.

Maria Elena. The last company town of the nitrate mining industry still in activity in the Atacama desert, Northern Chile. Project of a new urban infrastructure of water & energy generation and supply, as a response to the urgent need of the community and as a catalyst of new urban relations

SOAVE, FRANCESCO
2012/2013

Abstract

Maria Elena è l’ultima Company Town dell’industria mineraria del nitrato in attività nel deserto di Atacama, nel nord del Cile. Il proprietario della città è l’impresa privata SQM. Tuttavia, dall’anno 1980 Maria Elena è anche una municipalità. In questa situazione unica, l’organo amministrativo statale si trova inserito in terreni privati, e pertanto è obbligato a negoziare con l’impresa, ottenendo terreni in comodato per un tempo determinato. Di conseguenza, risulta uno stato di tensione fra il “jefe de campamento” -capo della città, massima autorità dell’impresa SQM- ed il sindaco -massima autorità della municipalità-. A questa duplicazione amministrativa della città si somma la forte segregazione spaziale dei suoi abitanti, dovuto al modello urbano neocoloniale con cui fu concepita e realizzata negli anni ‘20, e che fino ad oggi rimane vigente. Così, la città risulta divisa in “barrio obrero” -quartiere operaio, in forma ottagonale- e “barrio americano” -quartiere dei supervisori, in forma di sobborgo Garden-City- a cui si aggiunge un quartiere di nuova espansione che si è formato col passare degli anni, colmando lo spazio fra i due quartieri originari sopracitati. Le contraddizioni di questa duplicazione amministrativa e segregazione spaziale giungono ad un punto di crisi nel sistema di fornitura di energia ed acqua alla città: - Amministrativamente se ne occupa l’impresa SQM, che compra acqua ed elettricità “da fuori”, per venderle successivamente alla municipalità. L’acqua viene comprata dall’impresa “Aguas Antofagasta”, che la preleva dal rio Loa. L’elettricità invece viene comprata da Tocopilla, dove viene prodotta con centrali termoelettriche. Come conseguenza della gestione privata, “l’impresa ha il potere di fare ciò che vuole con questi servizi basici. L’impresa taglia la corrente una o due volte al mese”, affermano gli abitanti della città. - Spazialmente, ogni quartiere possiede la propria rete di fornitura di energia elettrica ed acqua. Il quartiere operaio, il quartiere dei supervisori ed i quartieri di nuova espansione possiedono ciascuno la sua rete. “Tutto ciò che è sistema elettrico, acqua potabile e fognatura è obsoleto”. Così, questi servizi basici si riconoscono come la principale necessità di trasformazione per una città mineraria che, secondo gli esperti, avrà ancora più di 50 anni di vita, dovuto alla ricchezza del territorio circostante che tuttavia non è stata sfruttata. Il progetto cerca di rendere evidenti le contraddizioni latenti in Maria Elena, allo stesso tempo che cerca di risolverle, intervenendo nel tema critico della fornitura di energia ed acqua alla città. Per questo obiettivo, appaiono necessarie due premesse: - In primo luogo, si auspica il passaggio della gestione di questi servizi alla municipalità, lasciando l’impresa SQM responsabile solo della rete dell’area industriale. - In secondo luogo, si propone di terminare di prelevare l’acqua dall’agonizzante fiume Loa, contaminato e con un caudale minimo dovuto all’intensa attività mineraria, che pone a serio rischio la sopravvivenza delle comunità indigene che dalle acque di questo fiume dipendono. Con queste premesse, si propone un ridisegno dell’infrastruttura di fornitura di energia e acqua nella seguente forma: - Si propone di prelevare acqua di mare al porto di Tocopilla, e portarla a Maria Elena lungo la ferrovia esistente e funzionante. Attualmente, i vagoni del treno viaggiano carichi di sacchi di nitrato da Maria Elena fino al porto di Tocopilla, per poi tornare vuoti alla città nel deserto. Con il progetto si propone di caricare tali vagoni di acqua di mare nel viaggio di ritorno. - Una volta giunta a Maria Elena, l’acqua salata verrebbe convertita in potabile con un impianto desalinizzatore solare collocato in un grande vuoto urbano, oggigiorno usato come discarica illegale, riqualificando così questo spazio. L’architettura apporterebbe al disegno di tale impianto desalinizzatore conferendogli una funzione “altra”, trasformandolo in scenario per spettacoli ed eventi all’aria aperta. - Una volta desalinizzata e purificata, l’acqua verrebbe distribuita in maniera uniforme in tutte le case, egualitariamente per tutta la città, per mezzo di una nuova infrastruttura urbana che conferirebbe una nuova immagine unitaria a Maria Elena. Si tratterebbe di un acquedotto sopraelevato, che allo stesso tempo funzionerebbe come portico ombreggiato lungo le soleggiate strade elenine, migliorando la qualità dello spazio pubblico della città. All’atto di sopraelevare l’acquedotto, questo diventerebbe visibile da ogni parte in una città che si sviluppa per intero al piano terra. La gran visibilità di questa infrastruttura la convertirebbe in nuova icona urbana dall’elevato valore simbolico, in una città del deserto dove la scarsità di acqua è un tema centrale. Il tramo principale dell’acquedotto attraverserebbe la città in senso longitudinale lungo la strada principale, l’avenida Carrera Pinto. - Al condotto principale dell’acqua verrebbe incorporato un impianto CSP (Concentrated Solar Power) Fresnel, costituito da una serie di specchi lineari che concentrano l’energia solare in un ricettore lineare, producendo energia termica che verrebbe utilizzata nel processo di desalinizzazione dell’acqua di mare, oltre che per riscaldare l’acqua potabile e, una volta convertita in energia elettrica, per soddisfare il fabbisogno energetico di tutta la città. Gli specchi dell’impianto CSP, elevati al livello di copertura, fungerebbero da elementi schermasole. - Le acque grigie, prodotto dell’uso domestico, verrebbero fitodepurate con un sistema di vasche con piante, collocate nel medesimo vuoto urbano in cui si inserisce l'impianto desalinizzatore. - L’acqua fitodepurata verrebbe occupata per irrigare gli alberi della città, il cui numero verrebbe incrementato creando nuovi corridoi ombreggiati. Dunque, alla domanda di come rapportarsi con un modello urbano neocoloniale degli anni ‘20, oggigiorno obsoleto, la risposta che si da con il progetto è di sovrapporgli un nuovo layer di infrastruttura, che rispetta la città esistente lasciando intatta la sua forma urbana, allo stesso tempo che ne cambia il funzionamento d’accordo con le necessità attuali.
ALONSO, PEDRO IGNACIO
ARC I - Scuola di Architettura e Società
2-ott-2013
2012/2013
Tesi di laurea Magistrale
File allegati
File Dimensione Formato  
Tesi_Francesco Soave.pdf

non accessibile

Descrizione: Introduzione storica
Dimensione 2.35 MB
Formato Adobe PDF
2.35 MB Adobe PDF   Visualizza/Apri

I documenti in POLITesi sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/84222