In the first part of the work, the model of a large space structure is created, starting from the finite element models of its components. The presented results refer to an experiment carried out in 1992 at the Politecnico di Milano, but the same method has been use with great success in many other instances in which building the entire full-scale model of a structure was not feasible. The matter at hand fits into the broader cathegory of substructuring, and a brief overview of other methods is also given. Having chosen to implement modal coupling through the use of fictitious masses, the numerical version of the boundary masses used in the experiments, the technique is explained in detail. Before entering the specifics, and the results, it is appropriate to remind that the connection between the substructures, or each substructure and the fictitious mass, is always modeled as isostatic – this is not the only way. Then, examples are provided in order to give the taste of the power of performing modal coupling with this architecture. In this sense, a parametric study is carried out on the fictitious mass “shape”, in order to show the benefits coming from the use of this device, and on the size of the whole process, depending on which the results can differ. The second part of the work deals with a problem which is becoming more and more important as structures increase in size, and operational times increase: damage detection. This can be undertaken resorting to different techniques, lately non-destructive are improving the level of performance. Dynamic tests, although, can still be a valuable help, and we will concentrate on these. The hypothesis we make is that the damage is located in a particular bay of the structure, and the algorithm we want to use is a least-squares approximation based on two different indicators. The first kind of indicators we use are the changes in the natural frequencies values brought about by the damaging of the structure, while the second group are the transfer functions values close to the resonances that show more evident differences with respect to the ones obtained from the undamaged structure. The obtained results highlight the difficulty of the analysis we set out for. First, using the model devised in the first part constitutes a problem, in that even in if the approximation is very accurate, the differences brought about by the damages are not always distinctively significant. Second, depending on the parameters we use for damage detection, the results can differ quite significantly, because the damage introduced alters the particular parameter in a specific way.

Il lavoro presentato si divide fondamentalmente in due parti. La prima riguarda la creazione del modello di una struttura a partire dai modelli ad elementi finiti delle sottostrutture che la compongono. Viene riproposto lo svolgimento numerico del lavoro che accompagnò un esperimento compiuto nel Dicembre del 1992 al Politecnico di Milano, ma il cui metodo è stato poi utilizzato molto spesso nell’ambito del progetto di strutture per cui non si è potuto realizzare un modello a grandezza naturale. Il lavoro svolto rientra, quindi, nell’ambito della sottostrutturazione, e per questo motivo è inclusa una panoramica dell’argomento con riferimento ad altri metodi. Il metodo dovuto a Craig e Bampton, di frequente utilizzo per l’accoppiamento di modelli modali, si basa sui modi propri di vibrare della sottostruttura con i gradi di libertà del contorno dell’accoppiamento vincolati, e su i modi statici dovuti, ciascuno, ad uno spostamento unitario di ogni singolo grado di libertà dello stesso contorno. Ciò che però rappresenta un problema notevole di questo metodo è la realizzazione sperimentale di questo secondo set, in quanto è molto difficile ricreare sperimentalmente questi singoli spostamenti lungo un grado di libertà solo, e rilevare le caratteristiche di rigidezza necessarie alla scrittura della matrice che rappresentano la dinamica del sistema. Al contrario, l’utilizzo delle masse al contorno è riproducibile in ambito sperimentale. Una volta che si è deciso di ricorrere, come mezzo per l’accoppiamento modale, alle masse fittizie, che sono la versione numerica delle masse al contorno usate nell’ambito sperimentale, il metodo in questione viene descritto in dettaglio, e sono riprodotti dei casi di accoppiamento per mostrare le potenzialità di questo specifico artificio. Prima di mostrare i risultati a cui siamo giunti, è giusto precisare che l’ambito in cui ci siamo mossi è comunque quello della modellazione della giunzione come vincolo isostatico – in quanto non necessarimente l’accoppiamento modale va realizzato in questo modo. E’ stato dunque svolto uno studio parametrico sulle variazioni dei risultati in dipendenza della forma e della grandezza delle masse fittizie, e del numero dei modi considerati per ciascuna sottostruttura. Si è confermato che la precisione dell’approssimazione è tale da dare errori sui valori delle frequenze proprie della struttura assemblata inferiori all’1 percento, rispetto al modello ad elementi finiti. Inoltre, si è visto che le interazioni tra la massa utilizzata e i componenti della struttura possono variare notevolmente, a seconda di quale tipo di modo si stia analizzando: i modi flessionali vengono influenzati in modo diverso da quelli prevalentemente assiali e diversamente ancora da quelli torsionali. Nello specifico caso di questa struttura e questa massa, si è osservato che il calcolo dei modi flessionali risulta meno influenzato dai cambiamenti della massa, mentre quello dei modi torsionali risulta molto più sensibile alla struttura della matrice della massa. Chiaramente, questo viene detto partendo dal fatto che una matrice della massa fittizia è data, ed ha per questo una sua forma. A questo proposito, infatti, l’aumento anche di un solo ordine di grandezza della massa originale, che contiene termini fuori dalla diagonale, porta a identificare nello spettro delle basse frequenze un modo, prevalentemente torsionale, che indubbiamente non appartiene alla struttura assemblata. E moltiplicando per un fattore 30 la massa originale questo effetto porta addirittura ad avere due modi che non trovano riscontro nel modello ad elementi finiti della struttura. Invece, come si vedrà in seguito, la modellazione della massa fittizia come una matrice diagonale non porta a imbattersi in questo problema. Inoltre, modellando la massa fittizia con una matrice diagonale, si è verificata la possibilità di calcolare i modi propri della struttura vincolata, utili nel caso del metodo di Craig e Bampton citato sopra. Per quanto riguarda il numero di modi considerati, non è sufficiente fare la somma di quelli presi da ciascuna sottostruttura, ed eliminare quelli su cui viene basato il processo di accoppiamento – sei nel caso di vincolo isostatico – in quanto aumentando questo numero, anche il numero di modi della struttura accoppiata che mostrano errori notevoli aumenta. Per quantità di modi sufficientemente elevate, e con il criterio di precisione citato precedentemente, circa il 20 percento superiore delle frequenze non può essere considerato accettabile. Al fine di fornire delle prove di validazione, a parte la semplice comparazione delle frequenze proprie della struttura, sono state esaminate il caso della risposta all’onda quadra e diverse verifiche di reciprocità. Dalla prima di queste prove, si è evinto che il modello può descrivere precisamente la risposta della stuttura, ma che va prestata molta attenzione al numero dei modi che vengono considerati, in quanto la partecipazione di ciascuno di essi non è conseguente alla precisione del calcolo della relativa frequenza propria. Ovvero, ci sono diversi modi per cui la frequenza viene calcolata con precisione – l’errore rispetto a quella trovata dal modello ad elementi finiti è inferiore all’1 percento – ma la valutazione dell’evoluzione della relativa coordinata generalizzata non risulta precisa. Le prove di reciprocità, invece, sono riportate comparando ogni volta una funzione di trasferimento del modello ottenuto da accoppiamento modale e l’altra calcolata dal metodo ad elementi finiti. La verifica che i due risultati sono sovrapponibili, è, in realtà, non solo una prova di reciprocità, ma anche un’ulteriore conferma della bontà dell’approssimazione ottenuta. La seconda parte del lavoro riguarda un tema di crescente importanza negli ultimi decenni, per via della maggiore complessità e delle maggiori dimensioni delle strutture, e del tentativo di prolungare la vita operativa delle missioni: l’identificazione del danno. Questo compito può essere affrontato in diversi modi, in particolare ultimamente la tendenza è a muoversi verso i controlli non distruttivi, come gli ultrasuoni e la termografia, per il basso livello di intrusività ed effetti collaterali che li caratterizzano, e per l’affermazione della filosofia damage tolerance in molti ambiti. Tuttavia, le prove dinamiche restano un importante strumento d’indagine, e sono l’oggetto del nostro interesse in questo lavoro. L’ipotesi fatta è di considerare il danno circoscritto ad un’area precisa della struttura. Questa è l’ultimo modulo di TESS, prima dell’attacco a miniTESS, e comprende quattro barre orizzontali e quattro diagonali. Inoltre, ci si pone l’obiettivo di utilizzare, come strumento analitico, un’approssimazione ai minimi quadrati di un insieme di indicatori che vengono scelti come strumento d’indagine. Come verrà spiegato meglio in seguito, tali indicatori sono gli scostamenti dei valori delle frequenze proprie e i valori delle funzioni di trasferimento – negli intorni delle risonanze – prodotti dal danneggiamento della struttura. I risultati ottenuti evidenziano la difficoltà dell’analisi che ci siamo proposti di effettuare. Innanzitutto, l’utilizzo del modello costruito nella prima parte del lavoro ha l’effetto di degradare la precisione che potremmo ottenere lavorando sempre nell’ambito di modelli ad elementi finiti. D’altra parte, questa necessità di interfacciare modelli diversi è estremamente evidente nei casi reali di identificazione del danno, in cui molto spesso capita di ricevere dati sperimentali, in quanto rilevati da una struttura danneggiata, e di doverli interpretare attraverso la comparazione con quelli derivanti da modelli ad elementi finiti. Da qui l’importanza della fase di Updating, necessaria a rendere il modello numerico in grado di riprodurre molto fedelmente i risultati sperimentali. Tornando al nostro caso, il problema principale deriva dal fatto che anche se l’approssimazione che l’accoppiamento modale con masse fittizie permette di raggiungere è molto accurata, non sempre il danno che modelliamo introduce variazioni di entità notevolmente superiori agli errori di approssimazione introdotti dal modello che stiamo usando, e quindi riconoscibili. Inoltre, ancora più importante, qualora le alterazioni conseguenti al danno siano di entità rilevante, se due o più tipi di danno presentano un simile “profilo di danno” – ossia gli indicatori prescelti mostrano valori simili – a questo punto è difficile procedere oltre, restando nell’ambito delle prove dinamiche, in quanto mancano le condizioni di osservabilità sul fenomeno. L’utilizzo di parametri differenti su cui basare l’identificazione del danno arricchisce l’interpretazione dei risultati, in quanto lo stesso danno può risultare più o meno evidente a seconda di quale informazione si intenda utilizzare. Per quanto riguarda l’algoritmo basato sugli scostamenti delle frequenze proprie, si è creato un profilo del danno per le otto condizioni in esame usando il modello ottenuto tramite accoppiamento modale, chiaramente includendo tutte e sole le frequenze che in almeno uno degli otto casi dessero scostamenti notevoli – definiti, anche questi, come superiori all’1 percento. Successivamente, sono state effettuate prove sul modello ad elementi finiti in cui sono stati modellati danni parziali, totali, e in alcuni casi multipli. I risultati di questo metodo suggeriscono che sia facile identificare i casi di danno totale a un singolo elemento, e in vari casi anche il danno parziale, mentre nel caso di danni multipli l’efficacia dell’algoritmo è parsa più bassa. L’utilizzo del secondo metodo, invece, ne ha dimostrato la capacità di identificare danni multipli, ma solo in alcuni casi, ossia quelli in cui non fossero presenti danni agli elementi che comportano alterazioni notevoli nei valori delle funzioni di trasferimento. Va inoltre specificato che basarsi sui valori delle funzioni di trasferimento non permette di identificare i danni parziali a singoli elementi. Una delle ragioni per cui ciò si verifica è molto probabilmente il fatto che in questo caso non si sono usati gli scostamenti dei valori, ma i valori stessi. Questo ha fatto si che i cambiamenti dei nostri indicatori nel caso di danno parziale non fossero di entità sufficiente. Inoltre, un problema che accomuna entrambe le analisi presentate è il fatto che gli elementi diagonali, diversamente da quelli orizzontali, introducono nella struttura in esame profili di danno troppo simili, sia nelle frequenze proprie su cui vanno ad influire, sia, seppure in minor misura, sui valori delle funzioni di trasferimento che alterano. In altre parole, restringere l’analisi all’ultimo modulo di TESS può apparire una notevole semplificazione del problema, rispetto al considerare potenzialmente il danno in qualunque punto della struttura, ma il fatto di dover distinguere quale o quali di questi elementi siano danneggiati unitamente al fatto che sono tutti nello stesso punto della struttura complica di molto il problema. Come si vedrà, infatti, il danno a un elemento in questo modulo ha ragionevolmente un effetto simile a quello di un altro elemento dello stesso modulo – specialmente, poi, se l’orientazione o la funzione dei due elementi è la stessa. Con specifico riferimento alle aste poste in diagonale sulle facce esterne del modulo, ciò è ancora più vero se si pensa alla funzione di tali elementi nel reticolato.

Damage detection of a large space structure using a model obtained by modal coupling

VITALE, CAMILLO
2012/2013

Abstract

In the first part of the work, the model of a large space structure is created, starting from the finite element models of its components. The presented results refer to an experiment carried out in 1992 at the Politecnico di Milano, but the same method has been use with great success in many other instances in which building the entire full-scale model of a structure was not feasible. The matter at hand fits into the broader cathegory of substructuring, and a brief overview of other methods is also given. Having chosen to implement modal coupling through the use of fictitious masses, the numerical version of the boundary masses used in the experiments, the technique is explained in detail. Before entering the specifics, and the results, it is appropriate to remind that the connection between the substructures, or each substructure and the fictitious mass, is always modeled as isostatic – this is not the only way. Then, examples are provided in order to give the taste of the power of performing modal coupling with this architecture. In this sense, a parametric study is carried out on the fictitious mass “shape”, in order to show the benefits coming from the use of this device, and on the size of the whole process, depending on which the results can differ. The second part of the work deals with a problem which is becoming more and more important as structures increase in size, and operational times increase: damage detection. This can be undertaken resorting to different techniques, lately non-destructive are improving the level of performance. Dynamic tests, although, can still be a valuable help, and we will concentrate on these. The hypothesis we make is that the damage is located in a particular bay of the structure, and the algorithm we want to use is a least-squares approximation based on two different indicators. The first kind of indicators we use are the changes in the natural frequencies values brought about by the damaging of the structure, while the second group are the transfer functions values close to the resonances that show more evident differences with respect to the ones obtained from the undamaged structure. The obtained results highlight the difficulty of the analysis we set out for. First, using the model devised in the first part constitutes a problem, in that even in if the approximation is very accurate, the differences brought about by the damages are not always distinctively significant. Second, depending on the parameters we use for damage detection, the results can differ quite significantly, because the damage introduced alters the particular parameter in a specific way.
KARPEL, MORDECHAY
ING - Scuola di Ingegneria Industriale e dell'Informazione
18-dic-2013
2012/2013
Il lavoro presentato si divide fondamentalmente in due parti. La prima riguarda la creazione del modello di una struttura a partire dai modelli ad elementi finiti delle sottostrutture che la compongono. Viene riproposto lo svolgimento numerico del lavoro che accompagnò un esperimento compiuto nel Dicembre del 1992 al Politecnico di Milano, ma il cui metodo è stato poi utilizzato molto spesso nell’ambito del progetto di strutture per cui non si è potuto realizzare un modello a grandezza naturale. Il lavoro svolto rientra, quindi, nell’ambito della sottostrutturazione, e per questo motivo è inclusa una panoramica dell’argomento con riferimento ad altri metodi. Il metodo dovuto a Craig e Bampton, di frequente utilizzo per l’accoppiamento di modelli modali, si basa sui modi propri di vibrare della sottostruttura con i gradi di libertà del contorno dell’accoppiamento vincolati, e su i modi statici dovuti, ciascuno, ad uno spostamento unitario di ogni singolo grado di libertà dello stesso contorno. Ciò che però rappresenta un problema notevole di questo metodo è la realizzazione sperimentale di questo secondo set, in quanto è molto difficile ricreare sperimentalmente questi singoli spostamenti lungo un grado di libertà solo, e rilevare le caratteristiche di rigidezza necessarie alla scrittura della matrice che rappresentano la dinamica del sistema. Al contrario, l’utilizzo delle masse al contorno è riproducibile in ambito sperimentale. Una volta che si è deciso di ricorrere, come mezzo per l’accoppiamento modale, alle masse fittizie, che sono la versione numerica delle masse al contorno usate nell’ambito sperimentale, il metodo in questione viene descritto in dettaglio, e sono riprodotti dei casi di accoppiamento per mostrare le potenzialità di questo specifico artificio. Prima di mostrare i risultati a cui siamo giunti, è giusto precisare che l’ambito in cui ci siamo mossi è comunque quello della modellazione della giunzione come vincolo isostatico – in quanto non necessarimente l’accoppiamento modale va realizzato in questo modo. E’ stato dunque svolto uno studio parametrico sulle variazioni dei risultati in dipendenza della forma e della grandezza delle masse fittizie, e del numero dei modi considerati per ciascuna sottostruttura. Si è confermato che la precisione dell’approssimazione è tale da dare errori sui valori delle frequenze proprie della struttura assemblata inferiori all’1 percento, rispetto al modello ad elementi finiti. Inoltre, si è visto che le interazioni tra la massa utilizzata e i componenti della struttura possono variare notevolmente, a seconda di quale tipo di modo si stia analizzando: i modi flessionali vengono influenzati in modo diverso da quelli prevalentemente assiali e diversamente ancora da quelli torsionali. Nello specifico caso di questa struttura e questa massa, si è osservato che il calcolo dei modi flessionali risulta meno influenzato dai cambiamenti della massa, mentre quello dei modi torsionali risulta molto più sensibile alla struttura della matrice della massa. Chiaramente, questo viene detto partendo dal fatto che una matrice della massa fittizia è data, ed ha per questo una sua forma. A questo proposito, infatti, l’aumento anche di un solo ordine di grandezza della massa originale, che contiene termini fuori dalla diagonale, porta a identificare nello spettro delle basse frequenze un modo, prevalentemente torsionale, che indubbiamente non appartiene alla struttura assemblata. E moltiplicando per un fattore 30 la massa originale questo effetto porta addirittura ad avere due modi che non trovano riscontro nel modello ad elementi finiti della struttura. Invece, come si vedrà in seguito, la modellazione della massa fittizia come una matrice diagonale non porta a imbattersi in questo problema. Inoltre, modellando la massa fittizia con una matrice diagonale, si è verificata la possibilità di calcolare i modi propri della struttura vincolata, utili nel caso del metodo di Craig e Bampton citato sopra. Per quanto riguarda il numero di modi considerati, non è sufficiente fare la somma di quelli presi da ciascuna sottostruttura, ed eliminare quelli su cui viene basato il processo di accoppiamento – sei nel caso di vincolo isostatico – in quanto aumentando questo numero, anche il numero di modi della struttura accoppiata che mostrano errori notevoli aumenta. Per quantità di modi sufficientemente elevate, e con il criterio di precisione citato precedentemente, circa il 20 percento superiore delle frequenze non può essere considerato accettabile. Al fine di fornire delle prove di validazione, a parte la semplice comparazione delle frequenze proprie della struttura, sono state esaminate il caso della risposta all’onda quadra e diverse verifiche di reciprocità. Dalla prima di queste prove, si è evinto che il modello può descrivere precisamente la risposta della stuttura, ma che va prestata molta attenzione al numero dei modi che vengono considerati, in quanto la partecipazione di ciascuno di essi non è conseguente alla precisione del calcolo della relativa frequenza propria. Ovvero, ci sono diversi modi per cui la frequenza viene calcolata con precisione – l’errore rispetto a quella trovata dal modello ad elementi finiti è inferiore all’1 percento – ma la valutazione dell’evoluzione della relativa coordinata generalizzata non risulta precisa. Le prove di reciprocità, invece, sono riportate comparando ogni volta una funzione di trasferimento del modello ottenuto da accoppiamento modale e l’altra calcolata dal metodo ad elementi finiti. La verifica che i due risultati sono sovrapponibili, è, in realtà, non solo una prova di reciprocità, ma anche un’ulteriore conferma della bontà dell’approssimazione ottenuta. La seconda parte del lavoro riguarda un tema di crescente importanza negli ultimi decenni, per via della maggiore complessità e delle maggiori dimensioni delle strutture, e del tentativo di prolungare la vita operativa delle missioni: l’identificazione del danno. Questo compito può essere affrontato in diversi modi, in particolare ultimamente la tendenza è a muoversi verso i controlli non distruttivi, come gli ultrasuoni e la termografia, per il basso livello di intrusività ed effetti collaterali che li caratterizzano, e per l’affermazione della filosofia damage tolerance in molti ambiti. Tuttavia, le prove dinamiche restano un importante strumento d’indagine, e sono l’oggetto del nostro interesse in questo lavoro. L’ipotesi fatta è di considerare il danno circoscritto ad un’area precisa della struttura. Questa è l’ultimo modulo di TESS, prima dell’attacco a miniTESS, e comprende quattro barre orizzontali e quattro diagonali. Inoltre, ci si pone l’obiettivo di utilizzare, come strumento analitico, un’approssimazione ai minimi quadrati di un insieme di indicatori che vengono scelti come strumento d’indagine. Come verrà spiegato meglio in seguito, tali indicatori sono gli scostamenti dei valori delle frequenze proprie e i valori delle funzioni di trasferimento – negli intorni delle risonanze – prodotti dal danneggiamento della struttura. I risultati ottenuti evidenziano la difficoltà dell’analisi che ci siamo proposti di effettuare. Innanzitutto, l’utilizzo del modello costruito nella prima parte del lavoro ha l’effetto di degradare la precisione che potremmo ottenere lavorando sempre nell’ambito di modelli ad elementi finiti. D’altra parte, questa necessità di interfacciare modelli diversi è estremamente evidente nei casi reali di identificazione del danno, in cui molto spesso capita di ricevere dati sperimentali, in quanto rilevati da una struttura danneggiata, e di doverli interpretare attraverso la comparazione con quelli derivanti da modelli ad elementi finiti. Da qui l’importanza della fase di Updating, necessaria a rendere il modello numerico in grado di riprodurre molto fedelmente i risultati sperimentali. Tornando al nostro caso, il problema principale deriva dal fatto che anche se l’approssimazione che l’accoppiamento modale con masse fittizie permette di raggiungere è molto accurata, non sempre il danno che modelliamo introduce variazioni di entità notevolmente superiori agli errori di approssimazione introdotti dal modello che stiamo usando, e quindi riconoscibili. Inoltre, ancora più importante, qualora le alterazioni conseguenti al danno siano di entità rilevante, se due o più tipi di danno presentano un simile “profilo di danno” – ossia gli indicatori prescelti mostrano valori simili – a questo punto è difficile procedere oltre, restando nell’ambito delle prove dinamiche, in quanto mancano le condizioni di osservabilità sul fenomeno. L’utilizzo di parametri differenti su cui basare l’identificazione del danno arricchisce l’interpretazione dei risultati, in quanto lo stesso danno può risultare più o meno evidente a seconda di quale informazione si intenda utilizzare. Per quanto riguarda l’algoritmo basato sugli scostamenti delle frequenze proprie, si è creato un profilo del danno per le otto condizioni in esame usando il modello ottenuto tramite accoppiamento modale, chiaramente includendo tutte e sole le frequenze che in almeno uno degli otto casi dessero scostamenti notevoli – definiti, anche questi, come superiori all’1 percento. Successivamente, sono state effettuate prove sul modello ad elementi finiti in cui sono stati modellati danni parziali, totali, e in alcuni casi multipli. I risultati di questo metodo suggeriscono che sia facile identificare i casi di danno totale a un singolo elemento, e in vari casi anche il danno parziale, mentre nel caso di danni multipli l’efficacia dell’algoritmo è parsa più bassa. L’utilizzo del secondo metodo, invece, ne ha dimostrato la capacità di identificare danni multipli, ma solo in alcuni casi, ossia quelli in cui non fossero presenti danni agli elementi che comportano alterazioni notevoli nei valori delle funzioni di trasferimento. Va inoltre specificato che basarsi sui valori delle funzioni di trasferimento non permette di identificare i danni parziali a singoli elementi. Una delle ragioni per cui ciò si verifica è molto probabilmente il fatto che in questo caso non si sono usati gli scostamenti dei valori, ma i valori stessi. Questo ha fatto si che i cambiamenti dei nostri indicatori nel caso di danno parziale non fossero di entità sufficiente. Inoltre, un problema che accomuna entrambe le analisi presentate è il fatto che gli elementi diagonali, diversamente da quelli orizzontali, introducono nella struttura in esame profili di danno troppo simili, sia nelle frequenze proprie su cui vanno ad influire, sia, seppure in minor misura, sui valori delle funzioni di trasferimento che alterano. In altre parole, restringere l’analisi all’ultimo modulo di TESS può apparire una notevole semplificazione del problema, rispetto al considerare potenzialmente il danno in qualunque punto della struttura, ma il fatto di dover distinguere quale o quali di questi elementi siano danneggiati unitamente al fatto che sono tutti nello stesso punto della struttura complica di molto il problema. Come si vedrà, infatti, il danno a un elemento in questo modulo ha ragionevolmente un effetto simile a quello di un altro elemento dello stesso modulo – specialmente, poi, se l’orientazione o la funzione dei due elementi è la stessa. Con specifico riferimento alle aste poste in diagonale sulle facce esterne del modulo, ciò è ancora più vero se si pensa alla funzione di tali elementi nel reticolato.
Tesi di laurea Magistrale
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