The content of this work mainly addresses architecture of the present time and aims to provide a synthesis of some attitudes followed by practice and the relative theoretical horizons, which seem to characterize part of the architecture of the present time. The fundamental presupposition on which this study is based lies in recognizing the constructed form – the object of architecture – as the direct product of thought, an artefact of which a given historical time or a given socio-cultural context has a certain conception. If, until the recent past, architecture – unlike other disciplines – was mostly inclined towards associating a theoretical principle with fully-fledged operating rules (rules of a general scope, a normative characteristic of theory) which influenced (and to some extent standardized) its results, the age in which we are living – that of multi-form pluralization of thought, that of the still post-modern condition (Lyotard), that of information (Castells), that of the second industrial revolution (Anderson) – decrees, on the other hand, the impossibility of using an ex ante operating theory, a general doctrine capable of translating a given epoch into form. It seems that the process of exchange between practice and theory is, for certain aspects, inverted. Today, it appears that works – of course those substantiated by a reasoning substantiated in their dual meaning of object and operative strategy – are the heralds of that plurality of specific thoughts (no longer general) of our time. The pretext offered to us by Nelson Goodman, who said that “it is easier to recognize architecture in a building than in a drawing, than what happens in music between the performance and the score” (1968) has encouraged me to shift attention immediately to the object and the circumstance where the complex tangible and intangible, diachronic and synchronic relations are fixed and lend themselves to a slower and more reflective interpretation of a given portion of reality, to attempt to recognize whether there were, in the plurality, recurrent orientations (conceptions of the artefact). Reflecting on architecture through works – which at the present time follow highly differentiated paths and reach very different results – required, in the first place, an investigation into the possibility of finding recursive elements that could have made the heterogeneous singularities of the contemporary architectural scenario comparable (since cognition is made by comparison) and could have allowed, at the same time, a verification of the reasoning associated with concrete cases. Referring to architecture, the thought of Alexander (1969) according to whom “the result of the design is the form”, opened, in this sense, a possibility, but at the same time, made an attentive (and cautious) recognition within this “slippery” concept necessary. Having understood the distinction that exists between apparent form (the form perceived by the senses or image) and authentic interpretation of the form (the one instrumental to our discourse), we have attempted – bringing the Vitruvian triad up to date – to give a plausible definition of it, indicating it as the unit that appears to sensory perception, indissoluble from three components: functional, figurative and constructive: in this sense, form has thus been placed at a higher hierarchical level with respect to function (and no longer at the same level as it was considered for a long time), the configurative processes (which allow its prior investigation) and the techniques of realization (which take on the responsibility of fixing it materially in a material unicum). Besides, no architecture can “protect itself from form” (Arnheim) nor will it be absolved from it, as each one (architecture) is obtained – from a matter – precisely by means of the intervention of form. Form, therefore, as a common denominator with which to compare the current multiform architectonic production; the (specific) forms that appear to be differentiated according to the relations which, each time, link the three components (functional, figurative and constructive) and the importance that is attributed to one rather than another. Accepting “Kolarevic” led me to acquire greater awareness on the strategies of conception of the form – both of the control instruments of the phase of conception provided by information technology, and by the (different) ways of using them – and, at the same time, to become an interpreter of the techniques of realization – deriving from knowledge of the materials and the possibility of transforming them – which today allow the construction of the form. In the light of this awareness on the practices, and without any claim for completeness, three distinct polarities have been recognized – feeling the same or common ground (Chipperfield) – the result of as many concepts of artefact (theories?) which seem to characterize and outline at least a part of the present of our discipline; not because there was a desire to attribute to them greater importance than to others, but because they are clearer to interpret and have greater impact on the sensitivity (and the curiosity) of the writer.

Il contenuto di questo lavoro è prevalentemente rivolto all'archiettura del tempo presente e mira a restituire una sintesi di alcuni orientamenti seguiti dalla pratica e i relativi orizzonti teorici, che sembrano caratterizzarla. L'assunto fondamentale su cui si fonda questa ricerca sta nel riconoscere la forma costruita – l'oggetto di architettura – come diretto prodotto di un pensiero, un artefatto di cui un dato momento storico o un certo contesto socio-culturale ha una determinata concezione. Se fino al recente passato, l'architettura – a differenza di altre discipline – è stata maggiormente propensa ad associare a un principio teorico vere e proprie regole operative (norme di portata generale, un carattere normativo della teoria) che ne hanno influenzato (e in qualche misura omologato) gli esiti, l'età in cui viviamo – quella della multiforme pluralizzazione del pensiero, quella della condizione ancora postmoderna (Lyotard), quella dell'informazione (Castells), quella della seconda rivoluzione industriale (Anderson) – decreta, invece, l'impossibilità di servirsi di una teoria operante ex ante, di una dottrina generale capace di tradurre in forma una determinata epoca. Sembra che il processo di scambio tra pratica e teorica si sia, per certi versi, invertito. Oggi, pare siano le opere – quelle sostanziate da un ragionamento denso – a farsi portatrici, di quella pluralità di pensieri specifici (non più generali) propri del nostro tempo. Il pretesto offertoci da Nelson Goodman, affermava che "è più facile riconoscere l'architettura in un edificio che in un disegno, di quanto non accada in musica tra esecuzione e spartito" (1968) mi ha incoraggiato a spostare sin da subito l'attenzione sul manufatto – sull'oggetto – la circostanza dove le relazioni complesse, materiali e immateriali, diacroniche e sincroniche si fissano e si prestano ad una lettura più lenta e riflessiva di una determinata porzione di realtà per tentare di riconoscere se vi fossero, nella pluralità, orientamenti (concezioni di artefatto) ricorrenti Riflettere sull'architettura per il tramite delle opere – che nel tempo presente seguono percorsi e raggiungono esiti sensibili molto differenziati – ha richiesto, in prima istanza, un'indagine sulla possibilità di trovare elementi ricorsivi che avrebbero potuto rendere comparabili le eterogenee singolarità proprie dello scenario architettonico contemporaneo (poichè la cognizione si fa per comparazione) e che avrebbero permesso, al contempo, una verifica del ragionamento stesso associato a casi concreti. Riferire all'architettura il pensiero di Alexander (1969) secondo il quale l'esito del progetto è la forma, ha aperto, in questo senso una possibilità ma al contempo, ha reso necessaria un'attenta (e cauta) ricognizione all'interno di questo concetto "scivoloso". Compresa la distinzione che sussiste tra forma apparente (forma percepita dai sensi o immagine) e lettura autentica della forma (quella strumentale al nostro discorso) si è tentato – riattualizzando la triade Vitruviana – di darne una definizione plausibile, indicandola come l'unità che si manifesta alla percezione sensoriale, indissolubile da tre componenti: funzionale, figurativa e costruttiva; in tal senso, la forma, è stata così posta ad un livello gerarchico superiore rispetto alla funzione (e non più allo stesso livello come è stata lungamente considerata), ai processi configurativi (che ne permettono l'indagine preventiva) e alle tecniche realizzative (che si fanno carico di fissarla materialmente in unicum materiale). Del resto, nessuna architettura può mettersi "al riparo dalla forma" (Arnheim) nè esimersi da essa, poichè, ciascuna (architettura), viene ricavata – da una materia – appunto mediante l'intervento della forma. La forma come denominatore comune con cui comparare la multiforme produzione architettonica corrente quindi; le forme (specifiche) che paiono differenziarsi a seconda dei rapporti che, di volta in volta, legano le tre componenti (funzionale, figurativa, costruttiva) e dal peso che viene attribuito all'una piuttosto che all'altra. Accettare che, "l'età dell'informazione, come l'età industriale prima di lei sta cambiando non solo il modo di progettare gli edifici ma anche come vengono costruiti" (Kolarevic), mi ha portato, ad acquisire consapevolezza sulle strategie di ideazione della forma – tanto degli strumenti di controllo della fase di ideazione forniti dall'information technology, tanto dei modi (differenti) di utilizzarli – e, al contempo, a farmi interprete delle tecniche realizzative – derivanti dalla conoscenza dei materiali e della possibilità di trasformazione degli stessi – che, della forma, oggi permettono la costruzione. Alla luce di questa disamina sulle pratiche, sono state riconosciute alcune polarità distinte – idem sentire o common ground (Chipperfield) – frutto di altrettante concezioni di artefatto – (teorie?)– che sembrano caratterizzare, e declinare, almeno una parte della nostra disciplina; non perché si sia voluta attribuire ad esse un'importanza maggiore rispetto ad altre, ma perché, sono risultate di più chiara lettura e maggiormente incisive sulla sensibilità (e la curiosità) di chi scrive.

All'opera. L'architettura nelle forme del tempo presente

GATTI, PIERMICHELE

Abstract

The content of this work mainly addresses architecture of the present time and aims to provide a synthesis of some attitudes followed by practice and the relative theoretical horizons, which seem to characterize part of the architecture of the present time. The fundamental presupposition on which this study is based lies in recognizing the constructed form – the object of architecture – as the direct product of thought, an artefact of which a given historical time or a given socio-cultural context has a certain conception. If, until the recent past, architecture – unlike other disciplines – was mostly inclined towards associating a theoretical principle with fully-fledged operating rules (rules of a general scope, a normative characteristic of theory) which influenced (and to some extent standardized) its results, the age in which we are living – that of multi-form pluralization of thought, that of the still post-modern condition (Lyotard), that of information (Castells), that of the second industrial revolution (Anderson) – decrees, on the other hand, the impossibility of using an ex ante operating theory, a general doctrine capable of translating a given epoch into form. It seems that the process of exchange between practice and theory is, for certain aspects, inverted. Today, it appears that works – of course those substantiated by a reasoning substantiated in their dual meaning of object and operative strategy – are the heralds of that plurality of specific thoughts (no longer general) of our time. The pretext offered to us by Nelson Goodman, who said that “it is easier to recognize architecture in a building than in a drawing, than what happens in music between the performance and the score” (1968) has encouraged me to shift attention immediately to the object and the circumstance where the complex tangible and intangible, diachronic and synchronic relations are fixed and lend themselves to a slower and more reflective interpretation of a given portion of reality, to attempt to recognize whether there were, in the plurality, recurrent orientations (conceptions of the artefact). Reflecting on architecture through works – which at the present time follow highly differentiated paths and reach very different results – required, in the first place, an investigation into the possibility of finding recursive elements that could have made the heterogeneous singularities of the contemporary architectural scenario comparable (since cognition is made by comparison) and could have allowed, at the same time, a verification of the reasoning associated with concrete cases. Referring to architecture, the thought of Alexander (1969) according to whom “the result of the design is the form”, opened, in this sense, a possibility, but at the same time, made an attentive (and cautious) recognition within this “slippery” concept necessary. Having understood the distinction that exists between apparent form (the form perceived by the senses or image) and authentic interpretation of the form (the one instrumental to our discourse), we have attempted – bringing the Vitruvian triad up to date – to give a plausible definition of it, indicating it as the unit that appears to sensory perception, indissoluble from three components: functional, figurative and constructive: in this sense, form has thus been placed at a higher hierarchical level with respect to function (and no longer at the same level as it was considered for a long time), the configurative processes (which allow its prior investigation) and the techniques of realization (which take on the responsibility of fixing it materially in a material unicum). Besides, no architecture can “protect itself from form” (Arnheim) nor will it be absolved from it, as each one (architecture) is obtained – from a matter – precisely by means of the intervention of form. Form, therefore, as a common denominator with which to compare the current multiform architectonic production; the (specific) forms that appear to be differentiated according to the relations which, each time, link the three components (functional, figurative and constructive) and the importance that is attributed to one rather than another. Accepting “Kolarevic” led me to acquire greater awareness on the strategies of conception of the form – both of the control instruments of the phase of conception provided by information technology, and by the (different) ways of using them – and, at the same time, to become an interpreter of the techniques of realization – deriving from knowledge of the materials and the possibility of transforming them – which today allow the construction of the form. In the light of this awareness on the practices, and without any claim for completeness, three distinct polarities have been recognized – feeling the same or common ground (Chipperfield) – the result of as many concepts of artefact (theories?) which seem to characterize and outline at least a part of the present of our discipline; not because there was a desire to attribute to them greater importance than to others, but because they are clearer to interpret and have greater impact on the sensitivity (and the curiosity) of the writer.
FOLLI, MARIA GRAZIA
19-mar-2014
Il contenuto di questo lavoro è prevalentemente rivolto all'archiettura del tempo presente e mira a restituire una sintesi di alcuni orientamenti seguiti dalla pratica e i relativi orizzonti teorici, che sembrano caratterizzarla. L'assunto fondamentale su cui si fonda questa ricerca sta nel riconoscere la forma costruita – l'oggetto di architettura – come diretto prodotto di un pensiero, un artefatto di cui un dato momento storico o un certo contesto socio-culturale ha una determinata concezione. Se fino al recente passato, l'architettura – a differenza di altre discipline – è stata maggiormente propensa ad associare a un principio teorico vere e proprie regole operative (norme di portata generale, un carattere normativo della teoria) che ne hanno influenzato (e in qualche misura omologato) gli esiti, l'età in cui viviamo – quella della multiforme pluralizzazione del pensiero, quella della condizione ancora postmoderna (Lyotard), quella dell'informazione (Castells), quella della seconda rivoluzione industriale (Anderson) – decreta, invece, l'impossibilità di servirsi di una teoria operante ex ante, di una dottrina generale capace di tradurre in forma una determinata epoca. Sembra che il processo di scambio tra pratica e teorica si sia, per certi versi, invertito. Oggi, pare siano le opere – quelle sostanziate da un ragionamento denso – a farsi portatrici, di quella pluralità di pensieri specifici (non più generali) propri del nostro tempo. Il pretesto offertoci da Nelson Goodman, affermava che "è più facile riconoscere l'architettura in un edificio che in un disegno, di quanto non accada in musica tra esecuzione e spartito" (1968) mi ha incoraggiato a spostare sin da subito l'attenzione sul manufatto – sull'oggetto – la circostanza dove le relazioni complesse, materiali e immateriali, diacroniche e sincroniche si fissano e si prestano ad una lettura più lenta e riflessiva di una determinata porzione di realtà per tentare di riconoscere se vi fossero, nella pluralità, orientamenti (concezioni di artefatto) ricorrenti Riflettere sull'architettura per il tramite delle opere – che nel tempo presente seguono percorsi e raggiungono esiti sensibili molto differenziati – ha richiesto, in prima istanza, un'indagine sulla possibilità di trovare elementi ricorsivi che avrebbero potuto rendere comparabili le eterogenee singolarità proprie dello scenario architettonico contemporaneo (poichè la cognizione si fa per comparazione) e che avrebbero permesso, al contempo, una verifica del ragionamento stesso associato a casi concreti. Riferire all'architettura il pensiero di Alexander (1969) secondo il quale l'esito del progetto è la forma, ha aperto, in questo senso una possibilità ma al contempo, ha reso necessaria un'attenta (e cauta) ricognizione all'interno di questo concetto "scivoloso". Compresa la distinzione che sussiste tra forma apparente (forma percepita dai sensi o immagine) e lettura autentica della forma (quella strumentale al nostro discorso) si è tentato – riattualizzando la triade Vitruviana – di darne una definizione plausibile, indicandola come l'unità che si manifesta alla percezione sensoriale, indissolubile da tre componenti: funzionale, figurativa e costruttiva; in tal senso, la forma, è stata così posta ad un livello gerarchico superiore rispetto alla funzione (e non più allo stesso livello come è stata lungamente considerata), ai processi configurativi (che ne permettono l'indagine preventiva) e alle tecniche realizzative (che si fanno carico di fissarla materialmente in unicum materiale). Del resto, nessuna architettura può mettersi "al riparo dalla forma" (Arnheim) nè esimersi da essa, poichè, ciascuna (architettura), viene ricavata – da una materia – appunto mediante l'intervento della forma. La forma come denominatore comune con cui comparare la multiforme produzione architettonica corrente quindi; le forme (specifiche) che paiono differenziarsi a seconda dei rapporti che, di volta in volta, legano le tre componenti (funzionale, figurativa, costruttiva) e dal peso che viene attribuito all'una piuttosto che all'altra. Accettare che, "l'età dell'informazione, come l'età industriale prima di lei sta cambiando non solo il modo di progettare gli edifici ma anche come vengono costruiti" (Kolarevic), mi ha portato, ad acquisire consapevolezza sulle strategie di ideazione della forma – tanto degli strumenti di controllo della fase di ideazione forniti dall'information technology, tanto dei modi (differenti) di utilizzarli – e, al contempo, a farmi interprete delle tecniche realizzative – derivanti dalla conoscenza dei materiali e della possibilità di trasformazione degli stessi – che, della forma, oggi permettono la costruzione. Alla luce di questa disamina sulle pratiche, sono state riconosciute alcune polarità distinte – idem sentire o common ground (Chipperfield) – frutto di altrettante concezioni di artefatto – (teorie?)– che sembrano caratterizzare, e declinare, almeno una parte della nostra disciplina; non perché si sia voluta attribuire ad esse un'importanza maggiore rispetto ad altre, ma perché, sono risultate di più chiara lettura e maggiormente incisive sulla sensibilità (e la curiosità) di chi scrive.
Tesi di dottorato
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Descrizione: All'opera. L'architettura nelle forme del tempo presente.
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