Nel 1960, alla 13° edizione del Festival di Cannes Jacques Becker porta il suo ultimo film, Il buco (Le trou), tratto dall’omonimo romanzo di José Giovanni. Nel 1947 nel carcere della Santé di Parigi 5 detenuti tentano di evadere scavando una galleria, che dal piano terra della loro cella li porterà fuori, passando per i seminterrati della prigione. Il progetto presentato inverte l’evasione portando questa volta la città all’interno delle mura carcerarie, attraverso “un buco”, un nuovo ingresso cittadino alla Casa Circondariale di San Vittore. Con questo intervento puntuale il carcere si apre alla città e ai suoi abitanti, arricchendo il suo programma funzionale a nuove esperienze e modi di intendete la carcerazione. La tesi vuole discutere principalmente il ruolo tra casa circondariale e centro urbano, la stretta relazione simbiotica che intercorre tra queste due apparentemente inconciliabili entità. Vengono analizzati i paradossi degli spazi carcerari attuali, anacronistici rispetto al sistema di leggi e ai principi costituzionali sulla funzione detentiva. Il forte rapporto tra strutture carcerarie e centri storici cittadini viene mostrato attraverso una catalogazione di dieci situazioni italiane, prendendo le principali città della penisola da nord a sud. Il caso eccezionale presentato, dimostra i benefici che questa vicinanza può portare anche dopo che la prigione smette di essere tale, la riconversione del carcere “Delle Murate” a Firenze, ad opera di Renzo piano e dell’ufficio tecnico comunale della città. Il progetto architettonico presentato prende le fondamenta teoriche da queste premesse, che danno un vero significato all’operazione di riconversione di un braccio del San Vittore in Carcere Sperimentale. Tramite il correlatore Sergio Minotti e la direttrice dell’istituto Gloria Manzelli è stato possibile effettuare un importante sopralluogo al San Vittore, in tutte le sue parti, dalle celle dei detenuti, ai passeggi vuoti e desolati, passando per centro clinico, sotterranei e i fumosi corridoi detentivi. L’esperienza è stata riportata attraverso un racconto breve e delle cartoline illustrate che cercano di riportare almeno in parte l’atmosfera interna alle mura circondariali e i rituali che dentro si ripetono fino a consumarsi e consumare. Si vuole iniziare una lenta apertura del carcere alla città, trovando in questa ibridazione un punto di forza sul quale gettare delle ipotesi sulla progettazione di nuove strutture o sulla riconversione di altre già esistenti. Il quarto raggio, oggi evacuato per motivi sanitari e per problemi statici è stato scelto come luogo dell’intervento, che considera questa situazione critica, di inefficienza pubblica e lentezza dei lavori di ristrutturazione, un’opportunità per poter ripensare in maniera più radicale la sezione detentiva e il programma applicato agli spazi esistenti. Un percorso museale a metà tra una permanente e un luogo del possibile con eventi temporanei e manifestazioni culturali è allestito nei seminterrati , accessibile dall’esterno, fuori le mura, con un nuovo ingresso sotterraneo , aperto alla cittadinanza. Il visitatore arriva così fino al centro dell’edificio, nella rotonda centrale, dove viene collocata la Pietà Rondanini, in maniera critica al dibattito che ne è scaturito dopo la proposta del FAI e di Stefano Boeri. Il piano terra con gli uffici per le associazioni di volontari allestiti in co-working, i laboratori didattici, le sale prova e lo studio di registrazione, la sala delle affettività, dove al detenuto viene finalmente permesso di poter stare con i propri cari in un luogo domestico e non sorvegliato diventa un cuscinetto tra la sezione dei detenuti ai livelli superiori e il seminterrato a vocazione pubblica. Anche questo lungo spazio, compreso di corridoio può essere utilizzato dalla città in determinate occasioni, come per concerti o visite di personalità importanti, benedizioni natalizie e festività. I livelli superiori sono quelli destinati ai detenuti meritevoli, scelti dal garante di giustizia come idonei e non pericolosi. Sessanta per piano, centottanta in totale, condividono celle standard da due posti con eccezioni di tre per stanza nelle celle più generose. Non è stato affrontato un progetto specifico per le celle detentive con la volontà di spostare l’attenzione sul corridoio. Il regime a porte aperte del raggio difatti, metodo ormai sempre più impiegato nelle carceri italiane per motivi di sovraffollamento della cella (dove in 16 metri quadrati convivono a fatica anche più di quattro persone), porta il detenuto a vivere la maggiorparte della sua giornata a eccezione dei momenti di lavoro (quando presenti) in questo lungo corridoio, largo cinque metri e alto poco più di tre, illuminato a neon. L’intenzione è quella di trasformarlo in uno spazio pubblico, con arredi mobili e lucernari a soffitto che permettono alla luce naturale di filtrare dalla nuova copertura giù per i tre livelli detentivi. Il metodo applicato per questa colonizzazione pacifica è quindi misurato e attuabile in un futuro parallelo ipotetico. Non sono state prese decisioni architettonicamente estreme, nonostante la facilità con la quale la tematica detentiva ammicca a progetti di tesi concettuali o dalla forte componente critica societaria. Tutto qui viene calcolato, disegnato senza esagerazioni, c’è un’economia e una sostenibilità di fondo che riescono a non far decadere le basi teoriche delle premesse, che vengono in questo modo semplicemente trascritte sul livello formale e spaziale.

Il buco. Varcare il carcere attraverso processi urbani

BUONSANTE, ANTONIO
2012/2013

Abstract

Nel 1960, alla 13° edizione del Festival di Cannes Jacques Becker porta il suo ultimo film, Il buco (Le trou), tratto dall’omonimo romanzo di José Giovanni. Nel 1947 nel carcere della Santé di Parigi 5 detenuti tentano di evadere scavando una galleria, che dal piano terra della loro cella li porterà fuori, passando per i seminterrati della prigione. Il progetto presentato inverte l’evasione portando questa volta la città all’interno delle mura carcerarie, attraverso “un buco”, un nuovo ingresso cittadino alla Casa Circondariale di San Vittore. Con questo intervento puntuale il carcere si apre alla città e ai suoi abitanti, arricchendo il suo programma funzionale a nuove esperienze e modi di intendete la carcerazione. La tesi vuole discutere principalmente il ruolo tra casa circondariale e centro urbano, la stretta relazione simbiotica che intercorre tra queste due apparentemente inconciliabili entità. Vengono analizzati i paradossi degli spazi carcerari attuali, anacronistici rispetto al sistema di leggi e ai principi costituzionali sulla funzione detentiva. Il forte rapporto tra strutture carcerarie e centri storici cittadini viene mostrato attraverso una catalogazione di dieci situazioni italiane, prendendo le principali città della penisola da nord a sud. Il caso eccezionale presentato, dimostra i benefici che questa vicinanza può portare anche dopo che la prigione smette di essere tale, la riconversione del carcere “Delle Murate” a Firenze, ad opera di Renzo piano e dell’ufficio tecnico comunale della città. Il progetto architettonico presentato prende le fondamenta teoriche da queste premesse, che danno un vero significato all’operazione di riconversione di un braccio del San Vittore in Carcere Sperimentale. Tramite il correlatore Sergio Minotti e la direttrice dell’istituto Gloria Manzelli è stato possibile effettuare un importante sopralluogo al San Vittore, in tutte le sue parti, dalle celle dei detenuti, ai passeggi vuoti e desolati, passando per centro clinico, sotterranei e i fumosi corridoi detentivi. L’esperienza è stata riportata attraverso un racconto breve e delle cartoline illustrate che cercano di riportare almeno in parte l’atmosfera interna alle mura circondariali e i rituali che dentro si ripetono fino a consumarsi e consumare. Si vuole iniziare una lenta apertura del carcere alla città, trovando in questa ibridazione un punto di forza sul quale gettare delle ipotesi sulla progettazione di nuove strutture o sulla riconversione di altre già esistenti. Il quarto raggio, oggi evacuato per motivi sanitari e per problemi statici è stato scelto come luogo dell’intervento, che considera questa situazione critica, di inefficienza pubblica e lentezza dei lavori di ristrutturazione, un’opportunità per poter ripensare in maniera più radicale la sezione detentiva e il programma applicato agli spazi esistenti. Un percorso museale a metà tra una permanente e un luogo del possibile con eventi temporanei e manifestazioni culturali è allestito nei seminterrati , accessibile dall’esterno, fuori le mura, con un nuovo ingresso sotterraneo , aperto alla cittadinanza. Il visitatore arriva così fino al centro dell’edificio, nella rotonda centrale, dove viene collocata la Pietà Rondanini, in maniera critica al dibattito che ne è scaturito dopo la proposta del FAI e di Stefano Boeri. Il piano terra con gli uffici per le associazioni di volontari allestiti in co-working, i laboratori didattici, le sale prova e lo studio di registrazione, la sala delle affettività, dove al detenuto viene finalmente permesso di poter stare con i propri cari in un luogo domestico e non sorvegliato diventa un cuscinetto tra la sezione dei detenuti ai livelli superiori e il seminterrato a vocazione pubblica. Anche questo lungo spazio, compreso di corridoio può essere utilizzato dalla città in determinate occasioni, come per concerti o visite di personalità importanti, benedizioni natalizie e festività. I livelli superiori sono quelli destinati ai detenuti meritevoli, scelti dal garante di giustizia come idonei e non pericolosi. Sessanta per piano, centottanta in totale, condividono celle standard da due posti con eccezioni di tre per stanza nelle celle più generose. Non è stato affrontato un progetto specifico per le celle detentive con la volontà di spostare l’attenzione sul corridoio. Il regime a porte aperte del raggio difatti, metodo ormai sempre più impiegato nelle carceri italiane per motivi di sovraffollamento della cella (dove in 16 metri quadrati convivono a fatica anche più di quattro persone), porta il detenuto a vivere la maggiorparte della sua giornata a eccezione dei momenti di lavoro (quando presenti) in questo lungo corridoio, largo cinque metri e alto poco più di tre, illuminato a neon. L’intenzione è quella di trasformarlo in uno spazio pubblico, con arredi mobili e lucernari a soffitto che permettono alla luce naturale di filtrare dalla nuova copertura giù per i tre livelli detentivi. Il metodo applicato per questa colonizzazione pacifica è quindi misurato e attuabile in un futuro parallelo ipotetico. Non sono state prese decisioni architettonicamente estreme, nonostante la facilità con la quale la tematica detentiva ammicca a progetti di tesi concettuali o dalla forte componente critica societaria. Tutto qui viene calcolato, disegnato senza esagerazioni, c’è un’economia e una sostenibilità di fondo che riescono a non far decadere le basi teoriche delle premesse, che vengono in questo modo semplicemente trascritte sul livello formale e spaziale.
MINOTTI, SERGIO
ARC I - Scuola di Architettura e Società
28-apr-2014
2012/2013
Tesi di laurea Magistrale
File allegati
File Dimensione Formato  
2014_04_Buonsante.PDF.pdf

accessibile in internet solo dagli utenti autorizzati

Descrizione: Testo della tesi
Dimensione 11.49 MB
Formato Adobe PDF
11.49 MB Adobe PDF   Visualizza/Apri

I documenti in POLITesi sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/90742