Il luogo prende il nome da una cascina, ora scomparsa, posta sull’antica strada per Varese;è cinto ad anello dalle linee ferroviarie per Torino, Como e Varese, che ne hanno determinato prima lo sviluppo, favorendo l’insediarsi delle molte fabbriche, (tra cui quella per la produzione del gass, che ne occupa tuttora la parte maggiore) e poi, segregandolo, la decadenza che ha accompagnato il progressivo venir meno delle funzioni industriali. La ferrovia chiude infatti la Bovisa da ogni lato; il tracciato forma verso sud, dove i suoi rami divergono, una cuspide e descrive a nord-ovest una curva stretta, conferendo all’area quella sua inconfondibile forma “a goccia” che la rende immediatamente riconoscibile nella pianta di Milano: caratteristica unica tra le aree periferiche. La Bovisa, indubbiamente, ha bisogno di una profonda opera di riqulificazione fisica e funzionale per ritornare a vivere. Sono convinta che questa riqualificazione non debba necessariamente passare attraverso la cancellazione di tutto quanto ancora esiste: per poter costruire, non è sempre necessario distruggere. Prestare ascolto a quello che permane, alla ricerca degli elementi seminali della mutazione può consentire invece di precedere verso una città futura che sappia evolversi dal passato senza rimuoverlo con violenza, senza generare nuovi e peggiori squilibri. Se alla speranza è concentito prendee la forma di una modesta proposta “quasi-metodologica” dirò che la bovisa, come tutti i luoghi che hanno molto vissuto, ha bisogno di uno sguardo progettuale che, con amorosa solecitudine, sappiain primo luogo riconoscere le forze positive che la percorrono, perchè possano divenire gli elementi generatori del mutamento, della connessione, della convivenza, della rinascita.
Paesaggio con il treno. Architettura per Bovisa
MAKARACHI, ASLAN
2013/2014
Abstract
Il luogo prende il nome da una cascina, ora scomparsa, posta sull’antica strada per Varese;è cinto ad anello dalle linee ferroviarie per Torino, Como e Varese, che ne hanno determinato prima lo sviluppo, favorendo l’insediarsi delle molte fabbriche, (tra cui quella per la produzione del gass, che ne occupa tuttora la parte maggiore) e poi, segregandolo, la decadenza che ha accompagnato il progressivo venir meno delle funzioni industriali. La ferrovia chiude infatti la Bovisa da ogni lato; il tracciato forma verso sud, dove i suoi rami divergono, una cuspide e descrive a nord-ovest una curva stretta, conferendo all’area quella sua inconfondibile forma “a goccia” che la rende immediatamente riconoscibile nella pianta di Milano: caratteristica unica tra le aree periferiche. La Bovisa, indubbiamente, ha bisogno di una profonda opera di riqulificazione fisica e funzionale per ritornare a vivere. Sono convinta che questa riqualificazione non debba necessariamente passare attraverso la cancellazione di tutto quanto ancora esiste: per poter costruire, non è sempre necessario distruggere. Prestare ascolto a quello che permane, alla ricerca degli elementi seminali della mutazione può consentire invece di precedere verso una città futura che sappia evolversi dal passato senza rimuoverlo con violenza, senza generare nuovi e peggiori squilibri. Se alla speranza è concentito prendee la forma di una modesta proposta “quasi-metodologica” dirò che la bovisa, come tutti i luoghi che hanno molto vissuto, ha bisogno di uno sguardo progettuale che, con amorosa solecitudine, sappiain primo luogo riconoscere le forze positive che la percorrono, perchè possano divenire gli elementi generatori del mutamento, della connessione, della convivenza, della rinascita.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/10589/93882