Il tema della valorizzazione dei patrimoni culturali esistenti investe da sempre il dibattito culturale e architettonico nell’ottica non solo di conservare la memoria di luoghi ed epoche passate, ma anche di ibridare il nuovo con l’antico, nel tentativo di instaurare meccanismi sinergici in grado da un lato di dare impulso al nuovo e dall’altro di rivitalizzare l’antico. Ancor di più in un paese come l’Italia dove il patrimonio è sterminato. Molti di questi manufatti, inglobati nelle trasformazioni che via via si sono succedute nel tempo, giungono a un punto di non ritorno, dove l’adeguamento e la propulsione sono ormai imprescindibili per arrestarne l’obsolescenza. Accade infatti che la discontinuità d’uso, i veri e propri mutamenti nelle destinazioni e nelle funzioni, i passaggi di proprietà che determinano parcellizzazioni sempre più d’impatto, snaturano l’essenza del manufatto originario. Ciò non è necessariamente un’accezione negativa, quanto il segno tangibile del trascorrere del tempo; certo, alcune politiche poco oculate hanno prodotto negli anni danni considerevoli, ma non va mai dimenticato che una componente del pensiero è anche frutto dell’ambiente socio-cultural-politico dell’epoca e molte scelte derivano dunque da convinzioni allora considerate valide e che oggi, come si suol dire col senno di poi, appaiono superate. E allo stesso tempo, spesso il processo di trasformazione è parte integrante della stessa vita dell’edificio, che si adegua via via a intenti ed esigenze di chi lo abita nella contingenza. Il tema della riconversione di edifici esistenti, di qualsiasi natura siano, è una tendenza che va sempre più diffondendosi come tentativo di risolvere ambiti urbani sia tenendo in conto la carenza di risorse impiegabili nella manutenzione e mantenimento di edifici che hanno ormai perso la loro funzione fondativa, sia come risposta a un’epoca in cui l’attenzione all’impatto generato dai processi trasformativi è sempre più alta. Quando il bene interessato dal processo trasformativo presenta elementi di pregio, è opportuno parlare, piuttosto che di riuso, di valorizzazione. L’approccio, infatti, non può e non deve essere quello di appropriarsi di certi spazi adattandone le caratteristiche a nuovi usi che possono anche risultare avulsi. Il progetto di valorizzazione non può prescindere da un’organica comprensione della storia, della stratificazione dell’edificio, affinchè possano trovare la giusta collocazione tutti gli elementi di pregio che in esso sopravvivono. Il complesso quattrocentesco dell’Osservanza agostiniana di Lombardia, noto come Santa Maria Incoronata, è esattamente uno di questi casi: dotato di notevoli potenzialità che derivano sia dalla collocazione che negli anni ha conquistato all’interno del tessuto urbano, sia da alcuni elementi e spazi di notevole pregio storico-artistico, ha subito nei secoli innumerevoli trasformazioni sia fisiche che d’uso, risultando oggi caratterizzato da una profonda frammentazione nei suoi ambiti, caratteristica che non solo ne rende complessa la gestione dal punto di vista economico e manutentivo, ma determina anche una difficoltà nel riassetto e nella promozione di nuovi modi d’uso. Dopo anni di scarsa attenzione nei suoi riguardi, negli ultimi decenni del Novecento sono stati effettuati diversi studi volti alla scoperta e all’approfondimento del suo valore. Le operazioni di restauro avviate successivamente rappresentano un fondamentale punto di avvio, ma è chiaro che non è sufficiente ai fini del completo recupero del complesso: è necessario regalare al comparto una nuova vita, riconquistata attraverso un’ attenta valorizzazione dei suoi aspetti.

Progettare la valorizzazione del patrimonio culturale : il comparto di Santa Maria Incoronata cambia musica

CANTAMESSE, SARA
2013/2014

Abstract

Il tema della valorizzazione dei patrimoni culturali esistenti investe da sempre il dibattito culturale e architettonico nell’ottica non solo di conservare la memoria di luoghi ed epoche passate, ma anche di ibridare il nuovo con l’antico, nel tentativo di instaurare meccanismi sinergici in grado da un lato di dare impulso al nuovo e dall’altro di rivitalizzare l’antico. Ancor di più in un paese come l’Italia dove il patrimonio è sterminato. Molti di questi manufatti, inglobati nelle trasformazioni che via via si sono succedute nel tempo, giungono a un punto di non ritorno, dove l’adeguamento e la propulsione sono ormai imprescindibili per arrestarne l’obsolescenza. Accade infatti che la discontinuità d’uso, i veri e propri mutamenti nelle destinazioni e nelle funzioni, i passaggi di proprietà che determinano parcellizzazioni sempre più d’impatto, snaturano l’essenza del manufatto originario. Ciò non è necessariamente un’accezione negativa, quanto il segno tangibile del trascorrere del tempo; certo, alcune politiche poco oculate hanno prodotto negli anni danni considerevoli, ma non va mai dimenticato che una componente del pensiero è anche frutto dell’ambiente socio-cultural-politico dell’epoca e molte scelte derivano dunque da convinzioni allora considerate valide e che oggi, come si suol dire col senno di poi, appaiono superate. E allo stesso tempo, spesso il processo di trasformazione è parte integrante della stessa vita dell’edificio, che si adegua via via a intenti ed esigenze di chi lo abita nella contingenza. Il tema della riconversione di edifici esistenti, di qualsiasi natura siano, è una tendenza che va sempre più diffondendosi come tentativo di risolvere ambiti urbani sia tenendo in conto la carenza di risorse impiegabili nella manutenzione e mantenimento di edifici che hanno ormai perso la loro funzione fondativa, sia come risposta a un’epoca in cui l’attenzione all’impatto generato dai processi trasformativi è sempre più alta. Quando il bene interessato dal processo trasformativo presenta elementi di pregio, è opportuno parlare, piuttosto che di riuso, di valorizzazione. L’approccio, infatti, non può e non deve essere quello di appropriarsi di certi spazi adattandone le caratteristiche a nuovi usi che possono anche risultare avulsi. Il progetto di valorizzazione non può prescindere da un’organica comprensione della storia, della stratificazione dell’edificio, affinchè possano trovare la giusta collocazione tutti gli elementi di pregio che in esso sopravvivono. Il complesso quattrocentesco dell’Osservanza agostiniana di Lombardia, noto come Santa Maria Incoronata, è esattamente uno di questi casi: dotato di notevoli potenzialità che derivano sia dalla collocazione che negli anni ha conquistato all’interno del tessuto urbano, sia da alcuni elementi e spazi di notevole pregio storico-artistico, ha subito nei secoli innumerevoli trasformazioni sia fisiche che d’uso, risultando oggi caratterizzato da una profonda frammentazione nei suoi ambiti, caratteristica che non solo ne rende complessa la gestione dal punto di vista economico e manutentivo, ma determina anche una difficoltà nel riassetto e nella promozione di nuovi modi d’uso. Dopo anni di scarsa attenzione nei suoi riguardi, negli ultimi decenni del Novecento sono stati effettuati diversi studi volti alla scoperta e all’approfondimento del suo valore. Le operazioni di restauro avviate successivamente rappresentano un fondamentale punto di avvio, ma è chiaro che non è sufficiente ai fini del completo recupero del complesso: è necessario regalare al comparto una nuova vita, riconquistata attraverso un’ attenta valorizzazione dei suoi aspetti.
ARC I - Scuola di Architettura e Società
1-ott-2014
2013/2014
Tesi di laurea Magistrale
File allegati
File Dimensione Formato  
2014_10_Cantamesse.pdf

non accessibile

Descrizione: Testo della tesi
Dimensione 248.39 kB
Formato Adobe PDF
248.39 kB Adobe PDF   Visualizza/Apri

I documenti in POLITesi sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/96821