“Da sempre le rovine hanno sedotto e affascinato l’animo umano. Già nei disegni di Piranesi i ruderi sono degli spazi cavi, che rappresentano una discesa verso la dimensione psicologica più intima: la rovina diviene scenario e immagine metaforica dei labirinti mentali, una rappresentazione di spazi scomposti, riassemblati, privi di senso e di funzione in cui F. Purini individua l’origine della composizione Moderna.” E’ come a un inquieto specchio del disequilibrio mentale intimo che dobbiamo pensare dunque alla rovina , ma senza dimenticare che in essa è la storia a tracciarne i profili. Se il rudere è un attore della rappresentazione dell’inquietudine umana rispetto allo scorrere del tempo non si può però relegare la città che le contiene a semplice quinta scenografica, quanto piuttosto a una sorta di Edipo di pietra, che nei confronti dei genitori, la rovina, rivolge ora l’attrazione estrema del giovane amante, ora l’arrogate forza annientatrice dello spietato assassino. E quando l’Edipo si chiama Beirut, nome che richiama nella mente di tutti le immagini spietate della guerra che l’ha portata sulle pagine dei giornali di tutto il mondo, non ci sorprende che l’atteggiamento sia stato prevalentemente il secondo, spinto più dalla speculazione economica che dalla reale volontà di cancellare il ricordo del passato. "A Beirut la tradizione non è mai stata “onda viva “. Ogni fase evolutiva, per superare il passato, ha spesso cancellato quella precedente. Dopo gli ultimi 15 anni di guerra civile terminati nel 1990, la città sembra aver eletto il presente come dimensione ideale, vissuta con euforia e incertezza del futuro. Cosi, in tante aree si è fatta Tabula rasa e la città è cresciuta vertiginosamente secondo le nuove aspettative." Al giorno d’oggi, esiste la tendenza a rapportarsi alla rovina come se essa fosse un oggetto ignoto; la nostra attrazione verso questi “relitti dell’architettura” sembra dovuta solo e unicamente al mistero che essi celano e non al valore formativo e di memoria che essi possiedono. La rovina non appartiene interamente né alla vita né alla morte: si trova in una “terra di mezzo” , un non-luogo, dove si radunano ricordi, speranze,promesse e delusioni, tutto quello di cui la rovina è al contempo icona e metafora. Per chi non vive la propria vita con la consapevolezza del proprio passato e in generale della storia, la rovina non può che rappresentare una serie di inutili e ingombranti macerie, pietre da “togliere di mezzo”; Ne costituiscono un esempio lampante le rovine rinvenute nelle fondazioni del Serraglio, in Piazza dei Martiri: accatastate in un angolo, senza la possibilità di comunicare nulla, se non un senso di impotenza e di abbandono. E' spinta da questa consapevolezza che l'idea del progetto prende forma.

Lo scavo archeologico come progetto di architettura nella città. Riqualificazione dell'area di Place des Martyrs a Beirut

VIDALI, MADDALENA;MORLACCHI, GABRIELE;TOFFANIN, SILVIA;MELANI, ELETTRA
2010/2011

Abstract

“Da sempre le rovine hanno sedotto e affascinato l’animo umano. Già nei disegni di Piranesi i ruderi sono degli spazi cavi, che rappresentano una discesa verso la dimensione psicologica più intima: la rovina diviene scenario e immagine metaforica dei labirinti mentali, una rappresentazione di spazi scomposti, riassemblati, privi di senso e di funzione in cui F. Purini individua l’origine della composizione Moderna.” E’ come a un inquieto specchio del disequilibrio mentale intimo che dobbiamo pensare dunque alla rovina , ma senza dimenticare che in essa è la storia a tracciarne i profili. Se il rudere è un attore della rappresentazione dell’inquietudine umana rispetto allo scorrere del tempo non si può però relegare la città che le contiene a semplice quinta scenografica, quanto piuttosto a una sorta di Edipo di pietra, che nei confronti dei genitori, la rovina, rivolge ora l’attrazione estrema del giovane amante, ora l’arrogate forza annientatrice dello spietato assassino. E quando l’Edipo si chiama Beirut, nome che richiama nella mente di tutti le immagini spietate della guerra che l’ha portata sulle pagine dei giornali di tutto il mondo, non ci sorprende che l’atteggiamento sia stato prevalentemente il secondo, spinto più dalla speculazione economica che dalla reale volontà di cancellare il ricordo del passato. "A Beirut la tradizione non è mai stata “onda viva “. Ogni fase evolutiva, per superare il passato, ha spesso cancellato quella precedente. Dopo gli ultimi 15 anni di guerra civile terminati nel 1990, la città sembra aver eletto il presente come dimensione ideale, vissuta con euforia e incertezza del futuro. Cosi, in tante aree si è fatta Tabula rasa e la città è cresciuta vertiginosamente secondo le nuove aspettative." Al giorno d’oggi, esiste la tendenza a rapportarsi alla rovina come se essa fosse un oggetto ignoto; la nostra attrazione verso questi “relitti dell’architettura” sembra dovuta solo e unicamente al mistero che essi celano e non al valore formativo e di memoria che essi possiedono. La rovina non appartiene interamente né alla vita né alla morte: si trova in una “terra di mezzo” , un non-luogo, dove si radunano ricordi, speranze,promesse e delusioni, tutto quello di cui la rovina è al contempo icona e metafora. Per chi non vive la propria vita con la consapevolezza del proprio passato e in generale della storia, la rovina non può che rappresentare una serie di inutili e ingombranti macerie, pietre da “togliere di mezzo”; Ne costituiscono un esempio lampante le rovine rinvenute nelle fondazioni del Serraglio, in Piazza dei Martiri: accatastate in un angolo, senza la possibilità di comunicare nulla, se non un senso di impotenza e di abbandono. E' spinta da questa consapevolezza che l'idea del progetto prende forma.
COMI, GIOVANNI
ARC II - Scuola di Architettura Civile
23-apr-2012
2010/2011
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/49121