ABSTRACT La catastrofe ha in sé un fascino unico, è il luogo di suggestive dicotomie che si combinano in maniera sublime. I luoghi della catastrofe mostrano la loro estrema vulnerabilità nel vuoto e nelle macerie nel momento successivo al disastro, ma sono al tempo stesso caratterizzati da una forza e a una potenza estetica senza pari. Queste ed altre suggestioni hanno ispirato la stesura di questa ricerca che ha mosso i suoi passi a partire dalla riflessione su cosa realmente significhi l’evento catastrofico nel mondo dell’architettura, investigando sul ruolo e sulle responsabilità dell’architettura e dell’architetto prima, durante il disastro e nella definizione di nuova realtà che porta inevitabilmente le cicatrici degli eventi. L’evento inaspettato, il trauma, la discontinuità, hanno una forte influenza sul destino delle città, sulla cultura e sull’arte. Dai terremoti agli incendi, fino alla bomba atomica, ogni catastrofe si svolge come una tragedia autonoma. Il disastro segue un proprio copione e approda ad epiloghi differenti in base a caratteristiche identitarie dei luoghi e della cultura che investe. Nella ricerca vengono trattate quattro catastrofi moderne: L’incendio di Chicago del 1871, le guerre mondiali, il terremoto di Gibellina del 1968, e la catastrofe dell’edificio, rappresentata da un certo modo di fare architettura dei nostri giorni. Ogni caso può essere letto come una storia autonoma in cui il disastro trova il suo compimento e la sua risoluzione, con esiti differenti. Gli eventi sotto esame rappresentano particolari episodi della nostra storia che a causa della loro intensità sono stati in gradi di provocare profonde cicatrici e di influenzare a lungo termine la cultura e l’estetica dei luoghi in cui si sono verificati. Ogni disastro citato ha innescato intensi dibattiti culturali e altissime sperimentazioni artistiche e architettoniche che hanno cambiato i connotati delle città in cui viviamo oggi. L’incendio di Chicago compare per primo non a caso. Il Big Fire del 1871 segna l’avvento della città moderna, sancisce l’estensione della città a scala territoriale e il modello della città di Chicago verrà esportato in tutto il mondo segnando profondamente le logiche di modernizzazione delle città americane e successivamente in forme diverse, anche di quelle europee. Dalle ceneri di un incendio vastissimo nascono i grattacieli, il legno viene sostituito con l’acciaio e la corsa alla crescita economica ha inizio. I grattacieli, simboli del potere economico sono i nuovi e indiscussi monumenti della modernità che ancora oggi si impongono con forza nelle skyline delle grandi città ad ogni latitudine. A seguire, la distruzione portata dalle guerre e il progresso tecnologico ad esse connesso. L’atrocità e la violenza delle guerre lasciano in eredità, oltre alle macerie, un progresso tecnologico senza eguali che ha cambiato il volto delle città e lo stile di vita di milioni di persone. Le guerre mondiali rappresentano una delle pagine più tristi della nostra storia in cui si è assistito alla mutilazione fisica e culturale di alcune delle più grandi città europee, culminando con la bomba atomica che segna un’epoca e rappresenta il livello di distruzione più alto mai raggiunto dall’uomo. Nonostante la violenza con cui sono state rase al suolo città come Berlino, Dresda, Hiroshima, ciò non ha impedito a queste città di divenire nel giro di pochi anni più forti e moderne di prima. La ricostruzione si è compiuta sull’onda di un forte sentimento di riscatto e oggi queste città non sarebbero le stesse se non avessero subito il trauma dell’annientamento fisico, della tabula rasa. Il terremoto del 68’ di Gibellina è un esempio dell’alto valore culturale che la ricostruzione può assumere in un luogo dove la tabula rasa rappresenta la preesistente condizione culturale di una società, oltre che il vuoto fisico dato dal terremoto che l’ha colpita. In questo caso la ricostruzione è stata caratterizzata da un vero e proprio disegno di un’identità completamente nuova. Gibellina trova nel disastro l’opportunità per cambiare volto, per emanciparsi e rendersi visibile. È l’utopia di un sogno estetico nato dalle scosse del terremoto, è un fermento culturale che inghiotte le macerie di un paese anonimo, è la fondazione (fallimentare?) di una nuova identità. Ma quali sono le rovine di oggi? In assenza di catastrofi, possiamo trovare nuovi tipi di rovine, luoghi dall’identità debole, parti dimenticate di un organismo che è la città contemporanea. L’architettura stessa può produrre rovine. Interviene con forza nel paesaggio e nel tessuto della città spesso con la stessa dirompenza di un terremoto. Si parla di un’architettura tracotante e poco sensibile che genera luoghi estranei in cui l’individuo avverte timore e spaesamento. La rovina è un brandello inservibile, un frammento incomprensibile, allo stesso modo un edificio può essere un elemento disturbante e indecifrabile. Qual è allora il ruolo dell’architetto oggi? Si può parlare di un modo “giusto” di fare architettura? Esistono delle leggi da seguire per far sì che la catastrofe non si verifichi? Il progetto per la Città della Cultura di Santiago de Compostela è un esempio dello stato di difficoltà e di arbitrarietà in cui si trova l’architetto oggi, difficoltà aggravata dai contorni di un mondo che continua a cambiare velocemente e che diventa sempre più immagine e meno contenuto. La catastrofe dell’architettura sta nel non essere più in grado di trasmettere valori condivisi, nell’essere inghiottita dall’irrefrenabile voglia di apparire. Ogni catastrofe descritta, è contraddistinta da un grado di coinvolgimento massimo di architetti artisti e ognuna ha lasciato alla storia una propria preziosa eredità. E l’eredità più recente è ancora da interpretare.

Archi-catastrophes. Stories of modern disasters

GALLUZZO, GIULIA
2013/2014

Abstract

ABSTRACT La catastrofe ha in sé un fascino unico, è il luogo di suggestive dicotomie che si combinano in maniera sublime. I luoghi della catastrofe mostrano la loro estrema vulnerabilità nel vuoto e nelle macerie nel momento successivo al disastro, ma sono al tempo stesso caratterizzati da una forza e a una potenza estetica senza pari. Queste ed altre suggestioni hanno ispirato la stesura di questa ricerca che ha mosso i suoi passi a partire dalla riflessione su cosa realmente significhi l’evento catastrofico nel mondo dell’architettura, investigando sul ruolo e sulle responsabilità dell’architettura e dell’architetto prima, durante il disastro e nella definizione di nuova realtà che porta inevitabilmente le cicatrici degli eventi. L’evento inaspettato, il trauma, la discontinuità, hanno una forte influenza sul destino delle città, sulla cultura e sull’arte. Dai terremoti agli incendi, fino alla bomba atomica, ogni catastrofe si svolge come una tragedia autonoma. Il disastro segue un proprio copione e approda ad epiloghi differenti in base a caratteristiche identitarie dei luoghi e della cultura che investe. Nella ricerca vengono trattate quattro catastrofi moderne: L’incendio di Chicago del 1871, le guerre mondiali, il terremoto di Gibellina del 1968, e la catastrofe dell’edificio, rappresentata da un certo modo di fare architettura dei nostri giorni. Ogni caso può essere letto come una storia autonoma in cui il disastro trova il suo compimento e la sua risoluzione, con esiti differenti. Gli eventi sotto esame rappresentano particolari episodi della nostra storia che a causa della loro intensità sono stati in gradi di provocare profonde cicatrici e di influenzare a lungo termine la cultura e l’estetica dei luoghi in cui si sono verificati. Ogni disastro citato ha innescato intensi dibattiti culturali e altissime sperimentazioni artistiche e architettoniche che hanno cambiato i connotati delle città in cui viviamo oggi. L’incendio di Chicago compare per primo non a caso. Il Big Fire del 1871 segna l’avvento della città moderna, sancisce l’estensione della città a scala territoriale e il modello della città di Chicago verrà esportato in tutto il mondo segnando profondamente le logiche di modernizzazione delle città americane e successivamente in forme diverse, anche di quelle europee. Dalle ceneri di un incendio vastissimo nascono i grattacieli, il legno viene sostituito con l’acciaio e la corsa alla crescita economica ha inizio. I grattacieli, simboli del potere economico sono i nuovi e indiscussi monumenti della modernità che ancora oggi si impongono con forza nelle skyline delle grandi città ad ogni latitudine. A seguire, la distruzione portata dalle guerre e il progresso tecnologico ad esse connesso. L’atrocità e la violenza delle guerre lasciano in eredità, oltre alle macerie, un progresso tecnologico senza eguali che ha cambiato il volto delle città e lo stile di vita di milioni di persone. Le guerre mondiali rappresentano una delle pagine più tristi della nostra storia in cui si è assistito alla mutilazione fisica e culturale di alcune delle più grandi città europee, culminando con la bomba atomica che segna un’epoca e rappresenta il livello di distruzione più alto mai raggiunto dall’uomo. Nonostante la violenza con cui sono state rase al suolo città come Berlino, Dresda, Hiroshima, ciò non ha impedito a queste città di divenire nel giro di pochi anni più forti e moderne di prima. La ricostruzione si è compiuta sull’onda di un forte sentimento di riscatto e oggi queste città non sarebbero le stesse se non avessero subito il trauma dell’annientamento fisico, della tabula rasa. Il terremoto del 68’ di Gibellina è un esempio dell’alto valore culturale che la ricostruzione può assumere in un luogo dove la tabula rasa rappresenta la preesistente condizione culturale di una società, oltre che il vuoto fisico dato dal terremoto che l’ha colpita. In questo caso la ricostruzione è stata caratterizzata da un vero e proprio disegno di un’identità completamente nuova. Gibellina trova nel disastro l’opportunità per cambiare volto, per emanciparsi e rendersi visibile. È l’utopia di un sogno estetico nato dalle scosse del terremoto, è un fermento culturale che inghiotte le macerie di un paese anonimo, è la fondazione (fallimentare?) di una nuova identità. Ma quali sono le rovine di oggi? In assenza di catastrofi, possiamo trovare nuovi tipi di rovine, luoghi dall’identità debole, parti dimenticate di un organismo che è la città contemporanea. L’architettura stessa può produrre rovine. Interviene con forza nel paesaggio e nel tessuto della città spesso con la stessa dirompenza di un terremoto. Si parla di un’architettura tracotante e poco sensibile che genera luoghi estranei in cui l’individuo avverte timore e spaesamento. La rovina è un brandello inservibile, un frammento incomprensibile, allo stesso modo un edificio può essere un elemento disturbante e indecifrabile. Qual è allora il ruolo dell’architetto oggi? Si può parlare di un modo “giusto” di fare architettura? Esistono delle leggi da seguire per far sì che la catastrofe non si verifichi? Il progetto per la Città della Cultura di Santiago de Compostela è un esempio dello stato di difficoltà e di arbitrarietà in cui si trova l’architetto oggi, difficoltà aggravata dai contorni di un mondo che continua a cambiare velocemente e che diventa sempre più immagine e meno contenuto. La catastrofe dell’architettura sta nel non essere più in grado di trasmettere valori condivisi, nell’essere inghiottita dall’irrefrenabile voglia di apparire. Ogni catastrofe descritta, è contraddistinta da un grado di coinvolgimento massimo di architetti artisti e ognuna ha lasciato alla storia una propria preziosa eredità. E l’eredità più recente è ancora da interpretare.
DE MAGISTRIS, ALESSANDRO
ARC I - Scuola di Architettura e Società
28-apr-2014
2013/2014
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/90813