La città di Roma, come molte altre metropoli europee vive la risoluzione del problema delle periferie urbane come la vera sfida che si porrà davanti agli architetti nel XXI secolo. Se fino ai primi anni 80 la problematica del degrado dei centri storici era la più attuale, ora le aree periferiche mostrano le maggiori criticità diventando nuclei di povertà, criminalità e disagio sociale in grado di compromettere i rapporti tra le persone che vivono la città contemporanea. Il quartiere Laurentino 38, nella periferia meridionale di Roma, è sicuramente una di queste aree in crisi e con questo progetto vogliamo dimostrare che questi quartieri possono avere una via d’uscita attraverso un approccio alla progettazione che facciamo nostro: l’urbanizzazione retroattiva. Questo nuovo metodo progettuale ci invita a pensare che è il riutilizzo del vuoto a costituire la chiave per la rivitalizzazione dei quartieri di edilizia popolare decaduti, e lo spazio di questo vuoto ora è enorme, ma povero, indistinto. Non resta che agire su queste ampie aree a disposizione ricominciando dall’impianto urbano esistente, non dalla tabula rasa (la completa demolizione di questi quartieri considerati degli interventi di urbanizzazione completamente falliti nei loro intenti), ma da un suolo su cui c’è già una forte preesistenza architettonica; il vuoto tra gli edifici dovrà aumentare così il livello di complessità urbana intensificando la relazione tra le parti, la mixité funzionale, la varietà tipologica, l’identità, la diversificazione e la qualità degli spazi aperti. Il nuovo suolo dovrà assecondare e interpretare la moltitudine delle attività umane dando ad esse un luogo attraverso il ridisegno e la ricalibratura degli spazi. È un pensiero elementare ma innovativo: l’attenzione si sposta dagli edifici al vuoto da essi generato, vera sede degli errori delle grandi utopie abitative del dopoguerra. Il progetto, è bene precisare, non vuole essere un nostalgico intervento di riqualificazione volto a scovare pregi imperscrutabili in un massiccio, ma tuttavia colto, intervento del vicino e nefasto passato, ma si vuole proporre come un vero e proprio nuovo modello progettuale in grado di risolvere il problema delle periferie delle città del XXI secolo ricollocando così il ruolo dell’architetto all’interno della società: persona in grado di risolvere estese aree in crisi delle città contemporanee con interventi di grande prospettiva: i centri abitati, specialmente le metropoli, sono organismi in continua evoluzione e attraverso questo nuovo approccio per la rigenerazione dei quartieri e lo studio alle diverse scale, tutte le persone che vivono nella città verranno di nuovo inclusi nelle dinamiche urbane e sociali.
Laurentino 38. Un progetto di rigenerazione retroattiva nella periferia romana
MAGGI, STEFANO
2015/2016
Abstract
La città di Roma, come molte altre metropoli europee vive la risoluzione del problema delle periferie urbane come la vera sfida che si porrà davanti agli architetti nel XXI secolo. Se fino ai primi anni 80 la problematica del degrado dei centri storici era la più attuale, ora le aree periferiche mostrano le maggiori criticità diventando nuclei di povertà, criminalità e disagio sociale in grado di compromettere i rapporti tra le persone che vivono la città contemporanea. Il quartiere Laurentino 38, nella periferia meridionale di Roma, è sicuramente una di queste aree in crisi e con questo progetto vogliamo dimostrare che questi quartieri possono avere una via d’uscita attraverso un approccio alla progettazione che facciamo nostro: l’urbanizzazione retroattiva. Questo nuovo metodo progettuale ci invita a pensare che è il riutilizzo del vuoto a costituire la chiave per la rivitalizzazione dei quartieri di edilizia popolare decaduti, e lo spazio di questo vuoto ora è enorme, ma povero, indistinto. Non resta che agire su queste ampie aree a disposizione ricominciando dall’impianto urbano esistente, non dalla tabula rasa (la completa demolizione di questi quartieri considerati degli interventi di urbanizzazione completamente falliti nei loro intenti), ma da un suolo su cui c’è già una forte preesistenza architettonica; il vuoto tra gli edifici dovrà aumentare così il livello di complessità urbana intensificando la relazione tra le parti, la mixité funzionale, la varietà tipologica, l’identità, la diversificazione e la qualità degli spazi aperti. Il nuovo suolo dovrà assecondare e interpretare la moltitudine delle attività umane dando ad esse un luogo attraverso il ridisegno e la ricalibratura degli spazi. È un pensiero elementare ma innovativo: l’attenzione si sposta dagli edifici al vuoto da essi generato, vera sede degli errori delle grandi utopie abitative del dopoguerra. Il progetto, è bene precisare, non vuole essere un nostalgico intervento di riqualificazione volto a scovare pregi imperscrutabili in un massiccio, ma tuttavia colto, intervento del vicino e nefasto passato, ma si vuole proporre come un vero e proprio nuovo modello progettuale in grado di risolvere il problema delle periferie delle città del XXI secolo ricollocando così il ruolo dell’architetto all’interno della società: persona in grado di risolvere estese aree in crisi delle città contemporanee con interventi di grande prospettiva: i centri abitati, specialmente le metropoli, sono organismi in continua evoluzione e attraverso questo nuovo approccio per la rigenerazione dei quartieri e lo studio alle diverse scale, tutte le persone che vivono nella città verranno di nuovo inclusi nelle dinamiche urbane e sociali.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/10589/132213